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16
ottobre 2009
fino al 17.I.2010 Pop Life London, Tate Modern
around
Scandalosa, provocatoria, eccessiva. Pop Life punta sui grandi nomi e ambisce far parlare di sé. Al di là di cosa si pensa della Pop Art e delle sue derive, una mostra che lascerà un segno. Mentre si ristampano i cataloghi senza la foto “di” Richard Prince, accusato di strizzare l’occhio alla pedopornografia. Da non perdere nel weekend di Frieze...
La Tate Modern ha scelto la provocazione. Pop Life: Art
in a Material World
ha fatto parlare di sé ancor prima dell’apertura al pubblico, con il ritiro
dello scandaloso nudo di Brooke Shields a dieci anni, e i cataloghi ristampati
escludendo l’immagine di taglio decisamente pedo-pornografico scelta da Richard
Prince per la sua
installazione.
Sulla stampa inglese la notizia ha avuto un’eco enorme e
ha costituito un traino ulteriore per questa collettiva, che non risulta
minimamente danneggiata nel suo concept dall’illustre esclusione e al
visitatore appare fluida e ben congegnata.
La sala iniziale apre in tipico “stile Tate” con il
confronto tra il padre della Pop Art Andy Warhol e gli ultimi alfieri moderni del
movimento, Takashi Murakami e Jeff Koons. Warhol è il maestro, l’iniziatore, colui che fuori
da ogni ipocrisia amava affermare che “un buon business è la migliore delle
arti”.
Questa dichiarazione è una delle linee portanti della
mostra, che svela in modo inequivocabile il lato più commerciale di artisti
come Keith Haring,
del quale è stato
fedelmente riprodotto il Pop Shop newyorchese, con tanto di vendita al dettaglio di
merchandising, fino alla generazione degli Young British Artists, con la
documentazione del negozio che Tracy Emin e Sarah Lucas aprirono a Londra per vendere le loro creazioni.
Di Jeff Koons è portato in risalto il controverso periodo di Made in
Heaven, con la
ricostruzione dell’installazione proposta alla Biennale di Venezia del 1990. La
sala è vietata ai minori di diciotto anni, come anche lo spazio dedicato
all’artista-performer londinese Cosey Fanni Tutti, che affianca la provocazione
pornosoft alla ribellione punk. Il riferimento al sesso è palese ma meno
letterale anche nel video con Kirsten Dunst, Akihabara Majokko Princess, che richiama alla sessualità
esplicita delle cosplayer che popolano il quartiere giapponese di Akihabara.
Sembra che i curatori abbiano voluto portare nuovamente
allo scoperto il lato più frivolo degli anni ‘80. Richiami al denaro, all’oro e
al lusso sono spesso presenti durante tutto il percorso della mostra. Damien
Hirst è
rappresentato dalle ultime opere andate all’asta nel 2008 da Sotheby’s, tutte
riedizioni di suoi celebri lavori, come le teche di Pharmacy o i quadri con ali di farfalla,
ma con l’aggiunta d’oro e pietre preziose. C’è anche la già famosa performance
dei gemelli identici, seduti sotto due piccole tele di dot painting, sempre con fondo oro.
Tutta la Pop Art è presentata nella sua veste di furba
osservatrice del mercato, ma a uno sguardo attento non risulta solamente
splendente e spensierata. Pop Life: Art in a Material World pone un’interessante riflessione
sull’autopromozione degli artisti iniziata con Warhol, proseguita con Haring e Martin
Kippenberger, con
la sua Candidatura per una retrospettiva.
Cercando di andare oltre i lustrini e le polemiche, il
merito maggiore di questa mostra sta nel proporre una volta di più un nuovo
spunto di riflessione sulla domanda: è stato Warhol a usare il mercato o è
stato il mercato a usare Warhol?
in a Material World
ha fatto parlare di sé ancor prima dell’apertura al pubblico, con il ritiro
dello scandaloso nudo di Brooke Shields a dieci anni, e i cataloghi ristampati
escludendo l’immagine di taglio decisamente pedo-pornografico scelta da Richard
Prince per la sua
installazione.
Sulla stampa inglese la notizia ha avuto un’eco enorme e
ha costituito un traino ulteriore per questa collettiva, che non risulta
minimamente danneggiata nel suo concept dall’illustre esclusione e al
visitatore appare fluida e ben congegnata.
La sala iniziale apre in tipico “stile Tate” con il
confronto tra il padre della Pop Art Andy Warhol e gli ultimi alfieri moderni del
movimento, Takashi Murakami e Jeff Koons. Warhol è il maestro, l’iniziatore, colui che fuori
da ogni ipocrisia amava affermare che “un buon business è la migliore delle
arti”.
Questa dichiarazione è una delle linee portanti della
mostra, che svela in modo inequivocabile il lato più commerciale di artisti
come Keith Haring,
del quale è stato
fedelmente riprodotto il Pop Shop newyorchese, con tanto di vendita al dettaglio di
merchandising, fino alla generazione degli Young British Artists, con la
documentazione del negozio che Tracy Emin e Sarah Lucas aprirono a Londra per vendere le loro creazioni.
Di Jeff Koons è portato in risalto il controverso periodo di Made in
Heaven, con la
ricostruzione dell’installazione proposta alla Biennale di Venezia del 1990. La
sala è vietata ai minori di diciotto anni, come anche lo spazio dedicato
all’artista-performer londinese Cosey Fanni Tutti, che affianca la provocazione
pornosoft alla ribellione punk. Il riferimento al sesso è palese ma meno
letterale anche nel video con Kirsten Dunst, Akihabara Majokko Princess, che richiama alla sessualità
esplicita delle cosplayer che popolano il quartiere giapponese di Akihabara.
Sembra che i curatori abbiano voluto portare nuovamente
allo scoperto il lato più frivolo degli anni ‘80. Richiami al denaro, all’oro e
al lusso sono spesso presenti durante tutto il percorso della mostra. Damien
Hirst è
rappresentato dalle ultime opere andate all’asta nel 2008 da Sotheby’s, tutte
riedizioni di suoi celebri lavori, come le teche di Pharmacy o i quadri con ali di farfalla,
ma con l’aggiunta d’oro e pietre preziose. C’è anche la già famosa performance
dei gemelli identici, seduti sotto due piccole tele di dot painting, sempre con fondo oro.
Tutta la Pop Art è presentata nella sua veste di furba
osservatrice del mercato, ma a uno sguardo attento non risulta solamente
splendente e spensierata. Pop Life: Art in a Material World pone un’interessante riflessione
sull’autopromozione degli artisti iniziata con Warhol, proseguita con Haring e Martin
Kippenberger, con
la sua Candidatura per una retrospettiva.
Cercando di andare oltre i lustrini e le polemiche, il
merito maggiore di questa mostra sta nel proporre una volta di più un nuovo
spunto di riflessione sulla domanda: è stato Warhol a usare il mercato o è
stato il mercato a usare Warhol?
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mostra visitata il 1° ottobre 2009
dal primo ottobre 2009 al 17 gennaio 2010
Pop Life: Art in a Material
World
a cura di Jack Bankowsky,
Alison M. Gingeras, Catherine Wood.
Tate Modern
Bankside – SE1 9TG London
Orario: da domenica a giovedì ore 10-18; venerdì e sabato ore 10-22
Ingresso: intero £ 12,50; ridotto £ 11
Catalogo £ 35
Info: +44 02078878888; visiting.modern@tate.org.uk;
www.tate.org.uk/modern
[exibart]
Provocatoria e scandalosa?
Banale e in cerca di un pubblico da luna park, questo mi è sembrata.
Una mostra che può avere il senso di far conoscere alcuni nomi a chi non ha mai visto nient’altro, ma certamente non qualcosa con cui la Tate possa affermare identità e audacia.
Le opere-gioiello di Hirst, le opere-gioiello di Murakami, le magliette di Haring da comprare in uno shop, le pareti d’oro e la muscia alta.
Sembra una passeggiata per Ginza, o un’introduzione al Pop per bambini con bisogno di stimoli.