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La grafica attraverso cui si esprime il titolo “Kitsch ou pas Kitsch?” (Kitsch o non Kitsch?) induce, già da sola, e prima ancora di visitare la mostra, a una prima resa visiva del tema trattato, mediante un lettering “urlato” (dai colori fucsia su fondo bianco e blu elettrico) entro una nuvoletta dai contorni irregolari.
Il pensiero più immediato, nel percorrere le sale espositive dell’Institut des Cultures d’Islam, è che i quindici artisti in allestimento, tra i grandi nomi della scena artistica araba contemporanea, abbiano voluto riportare l’aspetto più autoironico, eccessivo, divertito e dissacrante della realtà che li circonda. Tuttavia, un’interpretazione di questo tipo, tanto spontanea quanto ingenua, altro non è se non il frutto di un luogo comune, dettato da un punto di vista occidentale e che bisogna subito abbandonare se si vogliono vedere i lavori per quello che sono.
Il fatto è che anche gli stessi partecipanti alla collettiva si spaccano sulla questione del Kitsch, ovvero se esso debba essere interpretato positivamente, come arte popolare e anti-elitaria, oppure se vada inteso più in chiave negativa, con l’accezione di disprezzo orientalista.
La prima considerazione da fare è che allora già il termine Kitsch, scelto a definire la questione, forse, non è poi così adeguato a tratteggiare un certo tipo di espressività mediorientale, e forse la spaccatura deriva proprio dell’uso improprio che qui si fa del termine.
La parola, di origine tedesca, coniata nel 1860 circa, identifica in generale un’arte scadente, teatrale, di cattivo gusto. I “prodotti Kitsch” sarebbero caratterizzati da ornamentazioni grossolane, volgari, eccessivamente sentimentalistiche e nate per incontrare le esigenze artistiche di un pubblico non acculturato.
Le opere esposte, quadri, fotografie, video, istallazioni, sono, invece, talmente coerenti, rappresentative e integrate con la realtà da cui derivano che non possono proprio essere racchiuse entro una simile etichetta occidentale.
Il Kitsch, con la sua storia e la sua evoluzione, ha senso solo se indagato relativamente alle “nostre” dinamiche politiche, sociali ed estetiche, e quando applicato al mondo mediorientale ha, invece, il sapore di una connotazione dispregiativa.
I lavori di questi artisti, da Sabhan Adam a Sissi Farassat, non vanno nemmeno iscritti entro quel ramo della nostra cultura pop contemporanea in cui il termine Kitsch assume ad esempio il senso di Trash, nuova e legittima categoria estetizzante.
Nel trattare il tema, Umberto Eco ci da forse la chiave di lettura più sensata sull’argomento quando afferma che «il Kitsch consiste non nell’oggetto bensì nel nostro sguardo». Ecco perché i colori fluo, i glitter, gli strass, le paillettes e tutto quello che caratterizza le opere qui esposte non è Kitsch e nemmeno altro, ma solo un modo di circoscrivere qualcosa attraverso i nostri occhi, i nostri termini, le nostre categorie.
Questo è allora è il vero spunto di riflessione della mostra, su cui bisogna seriamente ragionare, e cioè su quanto la categorizzazione nel mondo dell’arte, e nel mondo in generale, privi la realtà dei suoi veri contenuti, della sua unicità, del suo valore.
Il titolo, “Kitsch ou pas Kitsch?”, può essere accettato e compreso allora solo in chiave provocatoria, come un invito a sbarazzarsi della domanda stessa e dell’intera questione.
Arianna Piccolo
mostra visitata il 29 dicembre 2015
Dal 17 settembre 2015 al 17 gennaio 2016
Kitsch ou pas Kitsch?
Institut des Cultures d’Islam
56, rue Stéphenson, Paris
Info: www.ici.paris.fr