Cento opere provenienti dai maggiori musei britannici e da collezioni private, alcune mai esposte in pubblico prima d’ora, accompagnano le varie fasi dello sviluppo artistico dell’illustrazione inglese, in una mostra unica nel suo genere.
Cronologicamente organizzato in nove sezioni che si srotolano fluidamente dal Decadentismo all’Art Déco, il percorso della Dulwich Picture Gallery parte dal genio iconico di
Aubrey Beardsley (1872-98). Parallelo figurativo di Oscar Wilde, Beardsley fa della linearità dell’arte giapponese il suo punto di forza. Figure allungate come entità astratte si muovono sulla superficie piatta dello spazio pittorico. La
Salomé che si prepara a baciare il capo reciso e sanguinante del Battista in uno dei suoi disegni più famosi per l’omonimo dramma di Oscar Wilde è elegantemente crudele. Il decorativismo virtuoso della linea, esaltato dal nudo contrasto del bianco e nero, dona alle forme una pulsante vitalità .
La prematura morte di Beardsley nel 1898 lascia un’eredità di devoti discepoli. Ispirati dal suo genio,
Sydney Sime (1867-1941) e
Harry Clarke (1889-1931) continuano a utilizzare il bianco e nero per dare vita a un eccentrico mondo, popolato da bizzarre creature ancora fortemente imbevute di decadente sensualitĂ . La tagliente essenzialitĂ lineare di
They swarmed upon me in ever accumulating heaps (1919) di Clarke, ispirato a
Il Pozzo e il Pendolo di Edgar Allan Poe, risuona di sinistre istanze gotiche.
L’età della decadenza si affaccia sul nuovo secolo, ammorbidita da impalpabili toni pastello. La prosperità dell’epoca edoardiana porta con sé il desiderio di evadere dalla gravità vittoriana nella leggerezza della fantasia. Pavoni, girasoli e prostitute, simboli dell’estetismo incarnato da Beardsley, sono abbandonati in nome di un ritorno all’innocenza dell’infanzia.
Per la società inglese d’inizio secolo, il mondo dei bambini diviene una realtà tangibile. Non a caso Rudyard Kipling, Lewis Carroll e James Barrie sono tra i maggiori autori del periodo. Animali come intricati motivi decorativi colorano di surreali assonanze esotiche le parole di Kipling nei disegni dei fratelli
Charles Maurice (1883-1908) ed
Edward Julius Detmold (1883-1956) per
The jungle book (1903). Ma è il francese
Edmund Dulac (1882-1953) che regala alla storia dell’illustrazione del XX secolo alcune delle sue immagini più famose. Fate, gnomi ed elfi abitano il mondo intensamente irreale delle
Stories from Hans Andersen (1911); miniature persiane e indiane dai colori opachi e allo stesso tempo vividissimi ispirano le
Stories from the Arabian Nights (1911). La fredda bianchezza lunare di
The Ice maiden (1915), risplendente di diafana essenzialità , anticipa l’allucinato potenziale onirico del Simbolismo.
L’atmosfera surreale degli acquerelli di Dulac, in bilico fra il superamento della pura visività neo-impressionista e la creazione di un vocabolario artistico moderno, è resa sublime dalla padronanza della nuova tecnica della stampa a colori. L’arte non più legata all’oggettività della coscienza diventa il teatro della soggettività del sogno, in cui innocenza e inumanità si toccano. Alla vigilia di una nuova decadenza, le immagini di Dulac e dei suoi contemporanei raccontano la magica capacità di rendere visibile l’invisibile.