Un’enorme, pesantissima struttura a forma di ziggurat invade la prima sezione della Duveen Gallery alla Tate. Si intitola Millbank Steps l’ultimo lavoro di Anthony Caro commissionato in occasione della sua personale presso il museo. Un’opera che sembra portare finalmente a compimento il memorabile confronto scultura-architettura, costante nella produzione di Caro. Millbank Steps, che indugia sul confine fra le due discipline, è una struttura che invita a essere occupata, attraversata, ma che, allo stesso tempo, si dichiara non funzionale a questo passaggio fisico. In ciò afferma la sua intima essenza di scultura, il suo stato di appartenenza al mondo onirico dell’immaginazione e alla pura espressione della sensibilità. I monumentali gradini che conducono agli spazi espositivi si pongono come un’ennesima dichiarazione di fede nei confronti del valore scultoreo dell’opera e forse affermano la sua definitiva vittoria sull’architettura.
L’intera retrospettiva è giocata sul rapporto scultura-architettura, forma-spazio. Ed è lo spazio l’elemento di riferimento costante: dai primi lavori in creta degli anni ’50 in cui la figura cerca a fatica di svincolarsi dal piedestallo che ancora la isola dalla realtà, fino alle forme astratte degli anni successivi, liberamente radicate nello spazio reso complice dei movimenti dell’opera, delle sue metamorfosi ed eclissi; dalle sculture da tavolo che si protraggono al di sopra e al di sotto del supporto, alle forme più organiche e vagamente oniriche degli anni ’70.
Negli anni ‘60 la superficie si copre di lacche metallizzate, espandendosi nel rosso squillante di Early One Morning o nel giallo acceso di Sunfeast: la scultura sfida se stessa, riducendo la sua sostanza a poche linee essenziali, usando il colore come mezzo di estensione. La smaterializzazione porta alla purezza espressiva, spinge la forma al suo limite estremo di sintesi. Negli anni ’70 e ‘80 tonalità accese e strutture minimaliste lasciano spazio al libero dispiegarsi della lastra metallica, cristallizzata in assemblaggi dal retaggio figurativo, o talvolta matrice di vere e proprie strutture architettoniche, volutamente impenetrabili e antifunzionali. Xanadu e Elephant Palace si ispirano ai templi greci, sono architetture impraticabili che ostentano un’epidermide grezza e caliginosa, priva di connotazioni coloristiche e depositaria di una vaga sensualità antropomorfa.
Il percorso espositivo si chiude con The last Judgement, complesso scultoreo a cui Caro ha lavorato tra il 1995 ed il 1999 facendo riferimento agli orrori e alle devastazioni della guerra in Bosnia e Rwanda. Anche il percorso stilistico trova un suo punto di arrivo. Il linguaggio scultoreo si piega ad un espressionismo di grande impatto comunicativo e la sintesi formale si fonda, questa volta, su un assunto di stampo narrativo. Un violento atto d’accusa contro la crudeltà umana. Una lucida rappresentazione del mondo quale incontenibile catastrofe di insanabile sofferenza.
ottavia castellina
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