Non è l’ennesima mostra sui videogiochi. E nemmeno il
classico format da mediateca, tutto documentazione e poca emozione.
Playlist, esposizione curata da Domenico
Quaranta per il Centro di Arte e Creazione Industriale
LABoral di Gijon, nelle Asturie, è un
progetto assolutamente non convenzionale. L’obiettivo è quello di raccontare la
manipolazione creativa di tecnologie obsolete, soprattutto legate al mondo dei
videogame, da un punto di vista sonoro.
Come sottolinea in
catalogo lo stesso Quaranta, la musica è stata la forza trainante di molte
rivoluzioni nel campo delle arti visive, basti pensare a figure come
Nam
June Paik o
John
Cage, per non
parlare dell’importanza della ricerca musicale nello sviluppo dell’arte
astratta. Non fa eccezione la New Media Art, il cui uso spregiudicato
dell’hardware e del software svela più di un debito nei confronti dell’ala più
sperimentale della musica elettronica. Si pensi ad esempio alla tanto diffusa
estetica del
glitch, che gioca con l’imprevedibilità dell’errore e con il fascino del
collasso tecnologico, nata in ambito musicale e letteralmente dilagata in
quello visuale.
La maggior parte dei lavori
esposti fa riferimento a un movimento culturale, noto come “8 bit movement”,
che porta avanti una sperimentazione sonora basata sulla manipolazione di piattaforme
per videogiochi divenute obsolete (si parla anche di
chiptune music). Con un’attitudine ludica e
anarchica – non a caso Malcolm McLaren ebbe a definirli “
the next step in
the evolution of rock and roll” – questi artisti trovano nuovi usi per tecnologie che la
società dei consumi ha già destinato alla discarica.
Jeremiah Johnson, meglio conosciuto come
Nullsleep, “reinterpreta” un minuetto di
Bach con una consolle NES (Nintendo Entertainment System) modificata;
Joey
Mariano amplifica
i suoni di un vecchio Game Boy;
Tristan Perich racchiude nella custodia di un cd
un meccanismo in grado di suonare una “sinfonia a 1 bit”; l’italiano
Tonylight assembla pezzi riciclati di
computer moderni per simulare il suono dei vecchi elaboratori.
Ma non tutte le
tecnologie presenti in mostra sono digitali. L’approccio anticonformista e “smanettone”
di questi artisti, opponendosi all’obsolescenza programmata dalle grandi
aziende tecnologiche, non teme di mescolare meccanica ed elettronica, analogico
e digitale. Ecco quindi comparire, insieme a computer e led, anche dischi in
vinile (l’ormai storico progetto
Vinylvideo, ma anche i lavori di
Paul B.
Davis), cassette
e congegni meccanici. Esemplare in questo senso il progetto
Pong. The analog
arcade machine di
André Gonçalves, una riproduzione totalmente
analogica del famoso videogame degli anni ‘70, realizzata con una pallina da
ping pong e un meccanismo di areazione.
Le opere sono numerose e molto diverse tra loro. Accompagnate
da libri, oggetti, documentari. E da un catalogo/rivista che riunisce una serie
di testi di grande qualità accompagnati da un cd musicale. L’insieme testimonia
di una scena creativa compatta che ha saputo però sviluppare tante vie
autonome, sempre all’incrocio tra sperimentazione sonora, ricerca visuale e resistenza
culturale.
Playlist fa parte dell’attività della
Mediateca
Expandida, lo
spazio che LABoral, decentrato ma attivissimo centro d’arte spagnolo – diretto
da Rosina Gómez-Baeza con l’ausilio del chief curator Benjamin Weil – dedica ai
progetti capaci di superare il tradizionale format della mostra d’arte,
favorendo l’approfondimento, l’interazione e la socialità.