Attraverso una
liaison precorritrice e simbolica, ideale rispetto alla nascita del grande Polo Culturale per l’Arte che sorgerà nel 2010 a Lugano, il Museo d’Arte e il Museo Cantonale radicano la propria identità sintonizzando e sincronizzando programmi, allestimenti e attività espositive per la mostra
Enigma Helvetia.
A meno di un chilometro di distanza le une dalle altre, le due sedi, per la prima volta unite da una collaborazione curatoriale comune, instaurano nelle grandi sale del Museo d’Arte e negli spazi più mossi del Museo d’Arte Cantonale una magniloquente rassegna di contraddizioni e paradossi. Forme stereotipate che hanno investito i punti di riferimento sociografici e le massime estetiche e artistiche attorno alla connotazione e alla formazione dell’identità creativa svizzera.
Per quanto riguarda la (semi)infinita serie di oggetti in mostra, è da notare un costante e raffinato intento di trasformazione dei raggruppamenti tematici in rispettivi quadri, fotografie, plastici, sculture e oggetti d’uso quotidiano; presenze che altrimenti avrebbero rischiato di trasformare entrambi i musei in gigantesche (sebbene ariose) wunderkammer. Senza dunque alcun privilegio di adeguato mistero. Da notare, infine, l’intento di riportare ogni lavoro in esposizione verso una forma di
estetizzazione rituale estesa a ogni ambito modificato dalla vita sul territorio. Anche se non sempre è apprezzabile la contraddittorietà delle diverse sfere categoriali alle quali gli oggetti appartengono.
Dalla serenità degli orologiai alla perfezione dei miniaturisti, dalla drammaticità dei pittori espressionisti per passare attraverso i vuoti di
Hans Hilfiker, le a-geometrie di
Max Bill, il design di
Le Corbusier e gli insoluti
Franz Gertsch, viene indirizzata la mente dell’osservatore verso le due vie apolidi alle quali la cultura svizzera è sempre stata indirizzata: il
cosmopolitismo e l’
etnocentrismo. Tra aperture e chiusure, si troveranno in mostra dediche d’ispirazione che hanno contribuito a rafforzare (senza demistificarlo) l’immaginario elvetico nazionale.
In accostamento ai colori pastosi e riverberanti dei paesaggi su tela di
Giovanni Giacometti sarà possibile vedere lavori operati sulla conformazione del territorio svizzero attraverso il plastico di
Thomas Schütte, oppure assistere alle orrorifiche mascherate di
Jean Tinguely o, infine, semplicemente osservare in silenzio i rigori essenziali della grafica di
Carlo Vivarelli. Una nutrita serie di sezioni -fra le altre,
Il mito di Heidi,
Silenzi e solitudini e
Miniaturizzazioni– faranno da guida e da segnalatori di perdita per chi visiterà la mostra.
Se l’intenzione rimane, seppure solo in parte, la ricerca di un’identità nazionale, alla fine il risultato sarà una soluzione forzata degli arcani elvetici. In Svizzera, infatti, l’identità consiste nel suo stesso enigma, nella coscienza di una non-esistenza primigenia di quella stessa identità.