Eredità dell’arte romana, nel Rinascimento il ritratto assume un ruolo fondamentale in tutti i campi della vita umana: dall’infanzia all’amicizia, dal corteggiamento al matrimonio, dalla vecchiaia alla morte. Come il ritratto sia arrivato a rivestire un ruolo così importante nelle nostre vite è la domanda alla quale la National Gallery si propone di rispondere con
Renaissance Faces.
Organizzata con la collaborazione del Prado di Madrid, questa mostra è un affascinante viaggio tematico che, con oltre settanta dipinti, miniature, monete e disegni, esplora le questioni fondamentali di somiglianza, memoria (intesa come ricordo) e identità. E tra papi e imperatori, amici e amanti, figli e nipoti, mercanti, sarti e buffoni, s’incontrano i visi noti del
Doge Leonardo Loredan di
Giovanni Bellini, le composizioni intriganti e curiose di
Arcimboldo e gli austeri ambasciatori di
Hans Holbein. E si fanno nuove conoscenze, come con l’elegantissimo giovane uomo dal berretto rosso di
Pontormo, scoperto solo di recente.
Dagli iconici ritratti di
Pisanello e
Alessio Baldovinetti, immortalati nella classica posa di profilo derivata dalle monete, all’ossessiva riproduzione dei dettagli quotidiani (inclusi quelli fisiognomici) di
Hans Memling e
Albrecht Dürer, il grande merito di questa mostra sta nel sottolineare come il ritratto nel XV e XVI secolo sia un fenomeno europeo.
Un fenomeno che, in un’epoca ancora priva della fotografia, assume le forme ridotte di miniature, medaglie e disegni, vitali nell’arrangiamento di alleanze matrimoniali, ma popolari anche come pegno di amicizia fra gli umanisti che conoscevano il
De amicitia di Cicerone.
Racchiudendo l’immagine dell’amata/o, i ritratti miniati erano oggetti intimi e personali, particolarmente apprezzati nell’Inghilterra elisabettiana, dove pare che il bellissimo
Young Man among Roses (1585-95) di
Nicholas Hilliard fosse il ritratto del conte Robert Devereux, il giovane favorito di Elisabetta I. Ma non mancano ritratti che celebrano l’amore coniugale e i legami famigliari, da quello notissimo de
I coniugi Arnolfini di
Jan van Eyck al doppio ritratto dell’architetto Giuliano da Sangallo con il padre Francesco (1485) di
Piero di Cosimo.
La convinzione che l’aspetto di una persona fosse lo specchio dell’anima portò nel Rinascimento alla creazione di un ideale di bellezza popolato da donne dai capelli biondi, le labbra rosse e la pelle candida. E se la perfezione delle forme era simbolo di virtù, il suo contrario era fonte di scherno e derisione. Ma le sorprese non finiscono qui e, grazie a nuovi studi, si scopre che la
Vecchia grottesca di
Quinten Massys non è una caricatura, ma una donna affetta dal morbo di Paget, che deforma le ossa.
Da sigilli e monete alle immagini di Cristo in Maestà, le raffigurazioni di monarchi erano da tempo emblemi di sovranità. Se i ritratti a figura intera erano particolarmente apprezzati da regnanti come Filippo II di Spagna, che si fa ritrarre da
Tiziano e da
Antonis Mor, il formato di tre quarti con la figura seduta su una ricca sedia creato da
Raffaello nel ritratto di
Giulio II erano popolari soprattutto tra papi e nobildonne. È lo stesso Giulio che ci accoglie nell’ultima sala, affiancato dal suo successore, il tizianesco
Paolo III: riuniti per la prima volta, questi due grandi del passato formano essi stessi un quadro indimenticabile.
Questo è il merito dei ritratti: ci rimandano, anche se per un breve momento, la confortante illusione della presenza di una persona che non c’è o che non c’è più. E merito di
Renaissance Faces è quello di offrirci una straordinaria galleria di personaggi che qui tornano a vivere, perché li si possa incontrare.