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08
dicembre 2008
fino al 18.I.2009 Turner Prize 08 London, Tate Britain
around
Come nella saga di Highlander, ne resterà uno solo. La lotta per l'immortalità dell'arte passa per le sale della Tate Britain, invase dai finalisti del Turner Prize. Perché non è bello ciò che è bello, ma...
“Mi sto rivoltando nella tomba. Turner”. Nei commenti che i visitatori possono lasciare dopo la visita all’esposizione dei lavori dei quattro finalisti del premio d’arte britannico per eccellenza, quest’ipotetica dichiarazione al fulmicotone dell’Old Master che presta il nome all’evento non è l’unica a esprimere dissenso per le nomination.
A dire il vero, i commenti positivi sono come quadrifogli in un fitto prato. E le spillette con i nomi dei quattro artisti, che si possono prendere per fregiarsi del merito di aver individuato il vincitore prima dell’investitura ufficiale, sono ancora tutte nelle ciotole. Possibile? Sì. Perché i quattro moschettieri di quest’anno presentano tutti lavori difficili, talvolta anche brutti, probabilmente non adatti a un riconoscimento che viene annunciato in diretta televisiva su Channel 4. Come del resto accade sin dal 1984.
Apre le danze Goshka Macuga, con la sua esplorazione delle influenze reciproche nelle coppie di artisti del secolo passato. Grandi sculture in ferro e vetro diventano l’immagine della relazione tra Lilly Reich e Mies van der Rohe, mentre delicati collage di immagini rubate all’archivio Tate sanciscono l’amore tra Paul Nash e Eileen Agar. Un lavoro concettuale, intimo, al di fuori della valenza estetica, che le è valso la nomination dopo l’esposizione alla quinta Biennale di Berlino.
Si cambia totalmente tono proseguendo nella mostra e raggiungendo la sala di Cathy Wilkes. Un’accozzaglia di elementi giustapposti che dovrebbe rappresentare l’esperienza umana quotidiana, fatta di gabinetti, manichini, vasetti di marmellata e casse del supermercato. Superando l’estetica del brutto, l’opera della nord-irlandese risulta soltanto brutta, sgradevole ma non affascinante. Un lavoro di fronte al quale non si possono biasimare coloro che affermano: “E sarebbe arte questa?”
Fortunatamente, i video di Runa Islam risollevano le sorti della mostra e il morale dei visitatori. Le visioni metafisiche della videoartista bengalese, in bilico tra la dimensione onirica e la denuncia sociale, catturano, magnetiche, l’occhio dello spettatore, che si tratti della caduta di una tazzina di porcellana o di una giornata dei guidatori di risciò in Bangladesh, insinuando il loro messaggio in modo quasi subliminale, mascherandolo di bellezza e lirismo.
Ultimo in mostra, ma non per la giuria, è il trionfatore di quest’anno, il britannico Mark Leckey. La sua complessa opera abbraccia grafica, videoinstallazione e architettura in una fascinazione completa per la cultura visuale, che parte dai luoghi dell’arte per arrivare ai simboli del codice iconografico comune, toccando Georg Baselitz e il Gatto Felix, James Cameron e i Simpson, coinvolgendo così l’occhio più educato all’arte e quello che ancora difficilmente riesce a rapportarsi al linguaggio contemporaneo.
Una vittoria annunciata, quasi scontata, a partire dai pronostici dei bookmaker. Meritata o per esclusione? Ai posteri l’ardua sentenza.
A dire il vero, i commenti positivi sono come quadrifogli in un fitto prato. E le spillette con i nomi dei quattro artisti, che si possono prendere per fregiarsi del merito di aver individuato il vincitore prima dell’investitura ufficiale, sono ancora tutte nelle ciotole. Possibile? Sì. Perché i quattro moschettieri di quest’anno presentano tutti lavori difficili, talvolta anche brutti, probabilmente non adatti a un riconoscimento che viene annunciato in diretta televisiva su Channel 4. Come del resto accade sin dal 1984.
Apre le danze Goshka Macuga, con la sua esplorazione delle influenze reciproche nelle coppie di artisti del secolo passato. Grandi sculture in ferro e vetro diventano l’immagine della relazione tra Lilly Reich e Mies van der Rohe, mentre delicati collage di immagini rubate all’archivio Tate sanciscono l’amore tra Paul Nash e Eileen Agar. Un lavoro concettuale, intimo, al di fuori della valenza estetica, che le è valso la nomination dopo l’esposizione alla quinta Biennale di Berlino.
Si cambia totalmente tono proseguendo nella mostra e raggiungendo la sala di Cathy Wilkes. Un’accozzaglia di elementi giustapposti che dovrebbe rappresentare l’esperienza umana quotidiana, fatta di gabinetti, manichini, vasetti di marmellata e casse del supermercato. Superando l’estetica del brutto, l’opera della nord-irlandese risulta soltanto brutta, sgradevole ma non affascinante. Un lavoro di fronte al quale non si possono biasimare coloro che affermano: “E sarebbe arte questa?”
Fortunatamente, i video di Runa Islam risollevano le sorti della mostra e il morale dei visitatori. Le visioni metafisiche della videoartista bengalese, in bilico tra la dimensione onirica e la denuncia sociale, catturano, magnetiche, l’occhio dello spettatore, che si tratti della caduta di una tazzina di porcellana o di una giornata dei guidatori di risciò in Bangladesh, insinuando il loro messaggio in modo quasi subliminale, mascherandolo di bellezza e lirismo.
Ultimo in mostra, ma non per la giuria, è il trionfatore di quest’anno, il britannico Mark Leckey. La sua complessa opera abbraccia grafica, videoinstallazione e architettura in una fascinazione completa per la cultura visuale, che parte dai luoghi dell’arte per arrivare ai simboli del codice iconografico comune, toccando Georg Baselitz e il Gatto Felix, James Cameron e i Simpson, coinvolgendo così l’occhio più educato all’arte e quello che ancora difficilmente riesce a rapportarsi al linguaggio contemporaneo.
Una vittoria annunciata, quasi scontata, a partire dai pronostici dei bookmaker. Meritata o per esclusione? Ai posteri l’ardua sentenza.
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And the wiiner is…
guia cortassa
mostra visitata il 18 ottobre 2008
*foto in alto: veduta dell’installazione di Mark Leckey, il vincitore del Turner Prize 2008
dal 30 settembre 2008 al 18 gennaio 2009
Turner Prize 08
Tate Britain
Millbank – SW1P 4RG London
Orario: tutti i giorni ore 10–17.40 (ultimo ingresso ore 17); venerdì ore 10-21
Ingresso: intero £ 7; ridotto £ 6
Info: tel. +44 02078878888; visiting.britain@tate.org.uk; www.tate.org.uk
[exibart]
non è, per caso, che i premi vengano assegnati indipindentemente dalle opere presentate?
Anche pensando a molti riconoscimenti assegnati a casa nostra l’impressione mi rimane.
Le opere veramente “difficili” vengono evitate da galleristi, critici e giurie.
Turner di ampio spettro. Con l’algida forza delle opere di Goshka Macuga, l’incredibile coraggio “oltrebrutto” di Cathy Wilkes, gli intimistici video (già visti!) di Runa Islam, bisogna ammettere che Mark Leckey, in questo premio, ha una lavoro di affascinante complessità: ogni singola opera è efficace ma Il totale dell’installazione è superiore alla somma delle parti. Il premio c’è e batte un colpo!
L’opera di Runa Islam era una schifezza autocelebrativa e noiosa, appare chiaro chi avreste voluto far vincere e il motivo per cui negli anni scorsi non avete mai lamentato la scarsa qualità delle opere e degli artisti in concorso.