Roland Penrose nel suo Pablo Ruiz Picasso (Parigi, 1982) riferisce di un significativo aneddoto raccontatogli in vita dallo stesso artista. In una visita allo studio di Picasso in compagnia di Apollinaire, il famoso critico Félix Fénéon, dopo aver visto le appena dipinte Mademoiselles d’Avignon, suggerì al giovane artista di dedicarsi meglio alla caricatura. In quella che potrebbe sembrare di primo acchito una sprezzante riduzione di una delle opere chiave della pittura moderna, in realtà lo stesso Picasso aveva già intuito un’indicazione preziosa, su una linea che lo trovava assolutamente concorde: “Tutti i buoni ritratti” – dichiarò più tardi – “sono, in certo modo, caricature”, riscattando così il genere “minore” della caricatura ad una delle modalità operative più moderne e funzionali all’interno del proprio discorso artistico. La mostra di Barcellona documenta in maniera rigorosa quanto importante sia stato l’esercizio del disegno caricaturale nell’economia dell’intera produzione di Picasso, dagli inizi fino agli ultimi capolavori. Già su quaderni di scuola, libri di gioventù, ritagli di giornale, e quindi sui primi album di disegni, con tratto veloce, audace e spietato, l’artista sbozzava anonimi passanti, elegantoni fin de siècle, ubriaconi e prostitute della Barcellona degli inizi del XX secolo, e successivamente del demi-monde parigino dei café chantants, dei cabarets e del circo. Figure mostruose, nudi osceni, nani e storpi sono rappresentati tutti insieme in arrancanti navi fantasma, la cui maestà convulsa, desolata, cruda, e ancora bellissima, ha il coraggio della verità e della violenza dei tempi moderni. La scoperta della scultura negra e l’asciuttezza dell’arte primitiva s’innestano quindi su un’innata attitudine alla deformazione: le forme da geometrizzanti si fanno più sinuose e morbide, e tuttavia allucinate nella caratterizzazione animalesca dei volti. Lo si vede nei costumi in mostra realizzati nel 1917 per Parade; in essi le languide forme animali del cavallo deforme incontrano l’ermetismo di un nuovo rigore geometrico nella rappresentazione dei vari personaggi. Alfred Barr nel 1946 parlò di metamorfosi dello stile di Picasso, cercando di ricondurre in retrospettiva ad un unico orizzonte critico le varie fasi di sviluppo del suo stile in perenne trasformazione. Trasformare, convertire, mascherare, occultare o anche solo immaginare poeticamente una possibile differente realtà, rimangono sempre opzioni costanti nella sua produzione: così negli assemblaggi scultorici, nei ritratti domestici dei figli e dei loro giochi, nelle realizzazioni in ceramica, o persino nelle celebri pose fotografiche degli anni sessanta a Cannes (scatti di André Villers, Edward Quinn, David Douglas), in cui travestito da torero, charlot, pagliaccio triste, od in mille altri modi, si presta egli stesso alla suggestione di emozioni e stati d’animo senza fine.
davide lacagnina
Prosegue la corsa dei cimeli sportivi all’incanto. Da Sotheby’s, la maglia indossata a Città del Messico da Diego Armando Maradona…
La Via Appia, regina Viarum, uno dei monumenti più durevoli della civiltà romana, è stata inscritta nella Lista del Patrimonio…
In occasione della seconda edizione di Expodemic, il Festival diffuso delle Accademie e degli Istituti di Cultura stranieri a Roma,…
Appuntamento questa sera, 28 luglio, con “be here now”, l’esposizione dei tre lavori inediti che l’artista olandese herman de vries…
La galleria Pinksummer porta l’arte fuori dalle sue mura espositive per fondersi con la città presentando una collettiva estiva dal…
Manna Rain: le nuove piogge astratte e cinematografiche di Rita Ackermann in dialogo con l’eredità di Cy Twombly, per la…