Un guardaroba coperto da 610 foglie di bronzo, smaltate e
dipinte a mano, che si aprono a scoprire un albero anch’esso in bronzo. Volpi
imbalsamate, una mucca acefala per divano e pantofole a forma di talpa. Varcando
la soglia di
Telling Tales. Fantasy and fear in contemporary design, stupore e perplessità sono i primi
pensieri che salgono alla mente; improbabilità la prima definizione.
Mobili,
ceramiche, lampade e installazioni di grandi dimensioni – cinquanta in tutto –
divertenti e simbolicamente complessi, in cui l’aspetto pratico e funzionale è
subordinato a decorazione e simbolismo. Sono creazioni di una nuova generazione
di designer del XXI secolo, che si propone di esplorare il potenziale narrativo
di oggetti nati per soddisfare bisogni pratici.
In
pieno accordo con la tradizione del V&A – documentare la storia delle
tendenze correnti – il curatore Gareth Williams ha creato un percorso narrativo
che, abbattendo i confini fra arti “maggiori” e arti “minori”, apre un dialogo
tra il design contemporaneo e quello del passato all’interno della stessa
mostra. Da qui la struttura in tre parti di
Telling Tales.Si
passa così dagli oggetti ispirati alle favole, ai miti e alla natura della
prima sala,
The Forest Glade – con
lo spettacolare
Fig leaf wardrobe dell’olandese
Tord Boontje – a
quelli
ispirati al genere del
romanzo e all’illustrazione satirica del XVIII secolo della seconda, dal titolo
evocativo
The Enchanted Castle. Attraverso satira e parodia, i designer di questa
sezione mettono in discussione il gusto decorativo corrente, come nell’ironico
Cinderella
table (1976
) di
Jeroen Verhoeven, in marmo solido tagliato al laser, che unisce le
linee di una scrivania e un tavolo settecentesco; o nell’inquietante
Robber
Baron cabinet di
Studio Job, armadio in bronzo dorato con un grande buco nero al
centro che ne trapassa le ante, modellato su una creazione dell’ebanista
parigino
André-Charles Boulle, ora
alla Wallace Collection.
E
come Gulliver in Liliput, il disagio del cambiamento di scala, delle forme
tradizionali e dei materiali costringe chi osserva a riconsiderare la sua
(altrimenti) passiva accettazione della realtà.
Quando, tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX, le
scoperte dell’inconscio di Freud, del tempo come durata di Bergson e della
relatività di Einstein aprono uno strappo nel cielo di carta delle certezze del
positivismo ottocentesco, il modo di percepire la realtà cambia per sempre. Non
più dati assoluti, passato presente e futuro si relativizzano. Disagio,
malessere e una rinnovata consapevolezza della mortalità diventano i nuovi “valori”
dell’uomo contemporaneo.
Questa riflessione sul nostro (tragico) passato e sul
nostro (altrettanto tragico) presente trova spazio nell’ultima sezione della
mostra, dal titolo
Heaven and Hell. Dalla volpe imbalsamata (che tanto ha fatto discutere)
della canadese
Kelly McCallum, dal titolo provocatorio
Do You Hear What I Hear?, al
Sensory Deprivation Skull di
Joep van Lieshout,
che mostra come la psicanalisi sia
un viaggio nel territorio del nostro inconscio, questa sezione riflette l’ansia
del nostro tempo.
Sorprendente, ironica e – perché no? – con una punta di
nostalgia per tempi migliori,
Telling Tales resiste a ogni tentativo di
categorizzazione. Ma per quanto improbabili, questi straordinari pezzi di
arredamento raccontano qualcosa del nostro tempo. Per esempio, che questa
mostra è stata concepita prima della recessione, in un momento economicamente
più felice, quando gli oggetti in questione – tutti pezzi in edizione limitata –
potevano esser venduti a un mercato di entusiasti collezionisti che ora è
scomparso.
Design o arte quindi? La mostra sfida a riconsiderare i
nostri preconcetti. E ad accettare una nuova definizione: quella di design-art.