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viene portato in America (Hareford Camp, Texas) nel 1943 come prigioniero di
guerra, era ancora “solo” un dottore militare specializzato in malattie
tropicali. Durante i tre anni di prigionia, circondato da altri italiani –
artisti, scrittori e poeti -, Burri inizia a dar spazio alla creatività e
inizia, come autodidatta, a dipingere paesaggi e nature morte.
Quei colori intensi, primari, densi, diventeranno gli
elementi base di una narrativa complessa incentrata sulla materia e sul
processo che porta, verso la fine degli anni ’40, a rivoluzionare il linguaggio
astratto iniziato da Picasso e Braque e perpetuato dai protagonisti dell’informale come Miró e Fautrier (questi ultimi incontrati a
Parigi nel 1949).
Burri porta i collage e l’uso dei materiali di “scarto” a
una retorica ancora più estrema, incorporando per la prima volta stracci di
juta ricavati, non a caso, da sacchi di farina provenienti dagli Stati Uniti
grazie al piano Marshall. Malgrado Burri, nella sua lunga carriera, non abbia
mai confermato né negato alcuna relazione tra l’esperienza traumatica della
guerra e i suoi lavori, l’uso di materiali lacerati, strappati, rattoppati e
bruciati, così come la predilezione quasi onnipresente del rosso, del bianco e
del nero, spinge la critica a un’interpretazione simbolica oltre a quella
formale.
È comunque certo che, per Alberto Burri, la complicata
relazione con gli Usa abbia lasciato un enorme impatto; e gli States lo hanno
“scoperto” e celebrato nei più importanti musei del paese, dal Guggenheim
Museum al MoMA, al Carnegie. Purtroppo, negli anni del suo enorme successo,
l’America stava vivendo uno storico momento artistico con l’Espressionismo
Astratto, che vede Burri accantonato, quasi dimenticato.
È da qui che, grazie a un lavoro di eccezionale valore,
lungo e meticoloso, così come la curatrice Lisa Melandri ci racconta, nasce la
mostra al Santa Monica Museum of Art. Attraverso il rapporto fra Burri e
l’America, la rassegna ripercorre le tappe fondamentali della sua carriera,
raccontando allo stesso tempo un importante momento artistico.
34 sono i lavori in mostra, a partire dai tanto discussi Sacchi
che, con tutta la
loro forza, esasperano la materia attraverso cuciture e sovrapposizioni improbabili
e rivelano, qui e là, sottostanti “macchie” rosse che sembrano far vibrare la
tela con la loro intensità e pastosità. Composizione (1953) è tra le opere che meglio
esprimono questo concetto. Seguono le muffe e i legni. Legno e rosso 3 (1956) sembra catturare
l’attenzione di tutti nella sala; il fondo rosso è parzialmente coperto da una
serie contigua di pannelli di legno, la cui superficie è stata bruciata e
annerita formando “incurabili lacerazioni”.
E ancora i Cretti, la cui evoluzione sembra essere particolarmente
chiara nel percorso suggerito dal SMMoA. I grandi pannelli di terra che,
assottigliata sulla tela a seconda dell’effetto desiderato e lasciata seccare,
rivelano una serie di crepe che simulano le sconfinate terre aride del deserto,
che Burri tanto ammirava in frequenti escursioni nella Death Valley, a poche
miglia da Los Angeles, dove insieme alla moglie Minsa ha vissuto per molte
estati.
Per finire, le maestose e drammatiche Plastiche. Grandi tele composte di plastica,
a volte trasparenti a volte nere, cauterizzate da una torcia a gas per
reinventare forme e consistenza. E lasciando lo spettatore incantato davanti
alla violenza estetica del gesto.
Burri
e la materia
Burri
e Fontana: spazio e materia
Le
grafiche di Burri
leonardo proietti
mostra visitata il 10 settembre 2010
dal
10 settembre al 18 dicembre 2010
Combustione: Alberto Burri and America
a
cura di Lisa Melandri
Santa Monica Museum of Art
2525
Michigan Avenue (complesso Bergamot Station, building G1) – 90403 Santa Monica
Orario:
da martedì a sabato ore 11-18
Ingresso libero
Catalogo a cura di Lisa Melandri e Michael Duncan
Info: tel. +1 3105866488; fax +1 3105866487; info@smmoa.org;
www.smmoa.org
[exibart]
Una mostra straordinaria con molte delle opere opere create da Burri a Los Angeles e credo, raramente o mai esposte in Italia. Un esempio di come un Museo di dimensioni ridotte possa fare mostre di cosi’ alta qualita’.
“uno dei precursori dell’Arte Povera”
Il fatto che alcuni degli esponenti dell’arte povera (Kounellis poi, che non lo è al 100%) si dicano suoi eredi non giustifica un collegamento così “pericoloso” (che è diventato un errore molto diffuso)…Burri e l’arte povera in comune hanno poco, o niente, e anche definirlo precursore stabilisce una relazione che di fatto non esiste…
Mi fa piacere di vedere che Exibart comunica una notizia di un evento NON italiano, ma estero: fin’ora le comunicazioni sull’estero sono sempre state rifiutate.
Speriamo che in futuro l’autarchia italiana sia superata!