Mentre nel nuovo Lisson New Space, antistante la galleria principa,e regna il frastuono di Daniele Puppi, le sale della Lisson Gallery sono pervase da un silenzio profondo e surreale. Le grandi tele monocrome di Shirazeh Houshiary si stagliano con eleganza minimalista nello spazio austero della galleria. Al centro di ogni tavola un afflato di vita.
Sussulti di luce che l’artista cattura ed espone sulla superficie buia del dipinto. Oppure ombre lontane, in dissolvenza, quasi impercettibili, come vapori assorbiti dall’etere. Finiti ed infiniti, calligrafici e impressionisti allo stesso tempo, questi aliti di luce e ombra si espandono e si dissolvono sulle tele, scavando uno spazio privo di confini. Uno spazio astratto, inafferrabile, cosmico e intimo insieme. Lo spazio di un respiro.
Crede, Shirazeh Houshiary, che un artista sia in grado di svelare l’invisibile, grazie alla forza creatrice dell’immaginazione. Influenzata dalla poetica di Jalalu’ddin Rum, mistico sofista del tredicesimo secolo, Houshiary ritiene che le verità universali e condivise siano state poco a poco offuscate da forme esteriori che hanno deviato l’esperienza umana. La pratica pittorica le permette così di trovare la propria essenza. Le forme geometriche traspiranti di vita, che dominavano i suoi lavori negli anni ’80, si dissolvono, a partire dal decennio successivo, in costellazioni difformi e microcosmiche, mentre, parallelamente, il disegno lascia spazio alla pittura. Distende le sue grandi tele a terra, alla maniera di Pollock, disegnando su di esse una danza non gestuale, ma che non manca di pathos, né di misticismo. Combina la minuzia di un miniaturista fiammingo alla tensione emotiva dell’artista informale. Così prende forma la magia della sua opera. Il fulcro pulsante di ogni superficie è un respiro che si dilata, lentamente.
Con gli schermi animati, presentati per la prima volta in questa personale londinese, il movimento di contrazione ed espansione delle masse spiraliformi diventa effettivo. Il rituale si riproduce su se stesso, l’immagine elude lo sguardo: appare e scompare impercettibilmente. E lo spettatore prende parte alla pratica mistica.
ottavia castellina
mostra visitata il 10 novembre 2004
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