Il Guangdong Art Museum inaugura la sua prima Triennale il 18 novembre 2002, quattro giorni prima dell’ “ufficiale” Biennale di Shanghai, nell’arrangiamento di una retrospettiva che, sulla base di una così dichiarata linea ideologica orientata alla “narrazione della cultura nel rispetto della storia”, si dispiega secondo la linea curatoriale ideata da Wu Hung (Professore di Storia dell’Arte Cinese c/o la University of Chicago), Wang Huangsheng (direttore del museo), Feng Boyi, e Huang Zhuan- nella progettazione di tre principali piattaforme d’analisi intitolate “Memory & Reality”, “Self & Environment” e “Global & Local”, completate da una quarta sezione dedicata all’esposizone delle nuove soluzioni creative realizzate da 16 artisti appositamente per l’evento. La mostra è inoltre stata accompagnata da un simposio internazionale dedicato alle pratiche curatoriali ed espositive contemporanee.
Questa tripartizione diacronica – attraverso un totale di 184 opere e 137 artisti – da corpo alla sequenzialità di un atteggiamento culturale e una nevrosi storica evocative di un’identità inquieta che continua a riposizionare se stessa all’interno di un flusso temporale sdoppiato tra il microcosmo dell’individuo e il macrocosmo di tutto ciò che egli percepisce come esterno ad esso. Tale dicotomia scandisce le fasi di sviluppo di una civiltà che successivamente all’assestamento degli anni 80 ha risposto al massiccio processo di aggiornamento politico, economico e dunque culturale, attraverso la ricerca di una soggettività individuale inedita, operante per mezzo di un’auto-interrogazione intima e personale(I parte), successivamente rapportata alle sfere ulteriori dell’ambiente (II parte) e del villaggio globale (III parte).
Il dialogo tra passato e presente è il motore espressivo che caratterizza l’attitudine di ricerca di molti artisti, in cui memoria personale e collettiva si confrontano, si mischiano e si disgiungono nel recupero e nella critica di un sistema simbolico infuso di una autorità storica intransigente (Rivoluzione Culturale), nell’uso di diversi supporti espressivi, dalla pittura, fotografia, video arte, all’installazione e alla performance. Tra questi Wang Guangyi, Li Shan, Yu Youhan, Yang Jiechang e Yang Guoxin citano direttamente l’autorità del passato attraverso la quotazione di simboli rivoluzionari, quali Mao Zedong, i modelli iconografici dei poster propagandistici e degli eroi di
attraverso ritorni evocativi legati agli affetti familiari; Xu Bing, Qiu Zhijie e Chen Xinmao approcciano un modello di critica sociale comune nel demolire l’ingerenza della tradizione attraverso una decostruzione del sistema testuale rappresentato dall’arte calligrafica e dal “rubbing”, dove l’oggetto e il media espressivo (inchiostro, carta di riso, testo scritto) diventano veicolo dell’attacco critico.
Nella seconda parte emerge come centrale il rapporto tra la neo acquisita individualità e il suo rapportarsi ai rapidi cambiamenti responsabili dello sfalsamento delle coordinate relazionanti individuo e ambiente:in questo senso la percezione della dimensione fisica del Se e il suo posizionamento all’interno del nuovo aspetto urbano e demografico innescano la ricezione di nuovi input visivi, per cui l’interazione con l’esterno da forma a nuove sensibilità espressive, caratterizzate da una tendenza all’autoritratto e non di rado da una cinica autoironia. E’ questo il caso delle tele di Fang Lijun, Yue Mingjun, delle foto di Zhao Bandi, mentre il dialogo con il mondo circostante, con lo spazio architettonico, diventa simbolo di individualità disturbate nelle intrusioni grafitiste di Zhang Dali, nel video che registra la performance di Zhu Fadong che deambula per Pechino mettendo in vendita se stesso, e ancora nei soliloqui di Lin Tianmiao, Yin Xiuzhen e Chen Yanyin, tre donne che per mezzo di un’arte “materiale”(3 installazioni) richiamano dalla memoria storie personali incorporate nella concretezza degli oggetti
che riconducono al loro passato.
E ancora le performance di Yan Lei, Cang Xin, Zhang Huan, le video installazioni di Wang Wei, Zhang Peili, Xin Danwen urlano il disagio e l’oppressione a cui l’ ipervelocità moderna costringono, e dove una sorta di poetica di auto-immolazione rende l’atto artistico auto-inflitto paradigma
La terza sezione apre invece un dialogo con il processo di apertura alla realtà mondiale, in una rapportazione transculturale basata su di una nuova linea di ricerca e mediazione ideologica nell’ inserimento all’interno del processo di globalizzazione.
Il canale di import-export attivato con l’esterno porta l’arte oltre i confini nazionali, spingendo molti artisti verso “ovest” e dunque verso la sperimentazione di esperienze interiori e prospettive ideali eterogenee. Pur regolarmente facendo ritorno in patria molti di questi artisti risiedono o trascorrono diversi periodi all’estero (soprattutto negli Stati Uniti, Germania e Francia), dando corpo ad un’arte che si mette in discussione al cospetto di più ampie meditazioni. Tali opere, per lo più installazioni,
intervengono come strumenti di confronto culturale, si interrogano sul valore della tradizione e sulla attendibilità della storia, chiamando ad una responsabilizzazione che coinvolge nazionalismo e universalismo.
In sede di questo processo ritornano i simboli tradizionali calligrafici, reinventati e dunque svuotati di significato nella mastodontica installazione di Wenda Gu, le eleganti forme degli arredi Ming sono disassemblati in un design surrealistico nelle opere di Ai Weiwei, le caratteristiche espressive della carta di riso sono rimanipolate dalla sensibilità personale e dagli impulsi intuitivi di Hu Youben e Zhu Jinshi.
La quarta ed ultima sezione propone in fine le prove ultime di alcuni artisti, presenti anche in altre sezioni della Triennale, nella creazione di una nuova officina di sperimentazione (tutte le opere sono esposte all’esterno del museo nel giardino circostante) che imbastisca un tracciato
sulle presenti tendenze dell’arte cinese: tra queste le gigantiche sculture di Wang Guangyi, sempre alle prese con le tematiche del passato rivoluzionario, e Wang Jin con “My Teeth”, il video “My Sun” di Wang Gongxin, proiettato sulla parete all’ingresso del museo in occasione della cerimonia di apertura, i progetti video di Huang Yonping e Song Dong, e l’installazione di Xu Bing “Guangdong Wild Zebra Herd”.
Questa Triennale è ben organizzata, logisticamente affollata ma completa e lucida nella selezione delle opere presentate, in definitiva un buon atrio di accesso e interpretazione sensibile di una cultura visiva “in progress”.
beatrice leanza
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