Fuori dallo spazio della Lisson Gallery, al 29 di Bell Street, una lapide in marmo avverte:
This entrance is strictly prohibited to… e inizia una lunga lista di nomi, che include tutte le persone provenienti da ogni tipo di realtà politica, sociale, culturale e religiosa (
Door Plate, 2006). L’atmosfera è, come sempre, provocatoria. Ma è una provocazione sana che, senza retorica, fa riflettere.
New Works è una mostra forte, dura, che denuncia attraverso la grande sensibilità di
Santiago Sierra (Madrid, 1966; vive in New Mexico) una condizione, quella della società capitalistica contemporanea, in cui prevale la legge del più forte e dove la gente, nonostante la schiavitù sia stata da tempo abolita, lavora in condizioni di assoluta povertà. Non è dunque un caso che ad aprire il testo in catalogo sia la frase pronunciata da Tony Blair in occasione del bicentenario della legge sull’abolizione della tratta degli schiavi.
La mostra, che si disloca nei due spazi della Lisson e presenta vecchi e nuovi progetti realizzati in India, Messico e Venezuela tra il 2005 e il 2007. Sierra non rinuncia all’utilizzo di un linguaggio minimale, grazie al quale riesce a rendere con sottigliezza ed efficacia il suo sguardo polemico, in un tono tutt’altro che documentaristico. I temi sociali affrontati sono molti e molto scottanti, e riguardano gli
scavenger, gli appartenenti all’ultimo gradino della piramide sociale indiana, destinati a pulire per tutta la vita i bagni pubblici.
A loro Santiago Sierra dedica il lavoro
21 Anthropometric Modules Made of Human Faces by the People of Sulabh International India, blocchi minimali composti di feci umane -raccolte per più di un anno proprio nei bagni pubblici di Jaupur- e fenicol, un collante plastico, e realizzati in collaborazione con gli scavenger stessi. Che, precisa Sierra, “
hanno lavorato gratuitamente, nonostante sapessero che questi pezzi sarebbero stati venduti a un prezzo esorbitante”.
È il paradosso del nostro tempo che, nel secondo spazio della Lisson, si traduce invece in una serie di video e fotografie che parlano delle condizioni socio-economiche del Venezuela, dei difficili rapporti tra Stati Uniti e Messico e della dipendenza-follia legata alle questioni petrolifere. A quest’ultimo proposito, nel video
Concert for a diesel electric plant il palco della Chacao Foundation’s Experimental Room viene occupato da un macchinario che produce senza tregua rumore e fumo, rendendo impossibile la sosta all’interno dello spazio. Sierra trasforma così il mito della macchina futurista in una celebrazione della follia del progresso.
Ogni intervento sembra essere diretto a una feroce critica del sistema, che include lo stesso mercato dell’arte, di cui comunque l’artista è parte. Ma criticare non significa necessariamente sovvertire. D’altra parte, Santiago Sierra non vuole sovvertire; più semplicemente, mostra la realtà con un atteggiamento che talvolta sfiora il cinismo. Lo stesso cinismo del sistema economico capitalista.
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è un grande ed è sempre un passo avanti all'arte contemporanea che non ha più niente da dire e lui sa come dirlo............