Alla Lumen Travo di Amsterdam possono essere orgogliosi dell’amicizia che li lega all’artista iraniana Shirin Neshat . Viste le sue sporadiche puntate nelle gallerie private, va considerata debitamente l’opportunità di ospitare il primo film di quest’artista il cui talento sta facendosi notare anche al di fuori del mondo dell’arte.
Questo film è stato atteso o, meglio, auspicato da molti come un passo naturale nella sua crescita artistica. Parafrasando il significato stesso di questa pellicola, la Neshat strappa il sipario elevando la sua creatività al di sopra delle congetture e delle critiche, riappropriandosi, in quanto creatrice, del diritto all’ultima parola sul suo operato: così nasce The Last Word.
Neshat, a New York da anni, ha dedicato, in passato, la sua produzione alla denuncia del mutismo al quale le donne del suo paese sono costrette. Le protagoniste delle sue foto, infatti, sono nascoste da veli scuri e le parti visibili del loro corpo – e della loro anima – sono ricoperte da criptiche scritture atte alla cancellazione della figura stessa. Con questo lavoro si giunge ad una rottura: un cortometraggio in bianco e nero che chiarisce, fin dal titolo, il desiderio di liberarsi e di liberare.
Il film è denso di atmosfere kafkiane: attraverso un corridoio scuro, una donna si incammina verso una corte allestita in un polveroso ufficio di burocrati, che, documenti alla mano, la processeranno per tutte le parole da lei scritte. La poetessa rimasta inizialmente muta davanti all’aggressore, riesce, infine, a reagire, dando gran fiato ad una bellissima poesia di Forough Farokhzad. Le parole si intrecciano alle pagine scritte e si inseguono armoniosamente animando il volto in lacrime di un’essere che ha finalmente trovato la forza di ‘essere’, senza costrizioni, vincendo la paura del giudizio.
Dall’esperienza personale, la Neshat arriva ad un significato dal respiro universale. The last word, infatti, richiama il Giudizio Estremo . Dopo aver attraversato lo stretto corridoio della sua vita, dopo essersi rivista da bambina e da anziana, la protagonista arriva consapevole al cospetto della corte. Durante l’interrogatorio solo queste ultime visioni, l’innocenza della gioventù e la saggezza della maturità, le saranno d’aiuto, sostenendola e dandole la forza necessaria per riscattare tutta la sua vita nel momento in cui sta per abbandonarla. Detta la sua ultima parola, l’artista si alza e attraversa la porta luminosa che la porterà verso la sua dignità.
Questo lavoro si colloca perfettamente nella carriera dell’artista, continuando il percorso evolutivo che dalla foto l’ha portata al video e dal video al film. Inoltre, cosa rara, una sua opera esordisce in una galleria privata, lontano da New York.
Con questo filmato la Neshat sceglie di concludere in modo inequivocabile un ciclo dedicato alla costrizione e al mutismo uscendone, trascurate le velleità cinematografiche, con un messaggio forte di rottura e evoluzione nella carriera così come nella vita.
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Grazie per avermi informato dell'iniziativa e per l'approfondita presentazione.