In piena
disumanizzazione dell’immagine, in cui silhouette perfette si stagliano su
ambienti rassicuranti, s’inserisce l’umanità senza fronzoli di
Lucian Freud (Berlino, 1922; vive a Londra).
Di questo grande artista figurativo l’esposizione accoglie una sessantina di
opere, per lo più oli su tela e qualche acquaforte, seguendo non un ordine
cronologico ma il tema del laboratorio londinese dell’artista. Si divide poi in
quattro sezioni:
“Interno/Esterno”,
“Riflessione”, “Riprese”, “Come carne”.
Freud è
un profeta del nudo: “
La pittura è la persona”, dichiara l’artista; “
Voglio
che funzioni come lo fa la carne”. Nudi in piedi, sdraiati, sopiti, svegli, il cui peso
corporeo è massa pittorica, in cui i chiaroscuri scavano tra le pieghe della
pelle, nella carne così come nella materia. Dei modelli se ne percepisce quasi
l’aura per questa volontà “
di voler approfondire ciò che già si conosce”. E infatti Freud ama ritrarre
familiari e amici, come David Dawson, il suo assistente, disposti a restare per
ore in posa.
Immersi
in ambienti scarni anche gli oggetti come sedie, tavoli e poltrone, con una
storia da raccontare perché stracciati, logori, umani anche loro. Soggetti
tagliati dai limiti del quadro; limiti che a volte stravolgono l’ordine del
dipinto, giacché accade che l’artista aggiunga pezzi di tela, rendendola così
irregolare e sconcertante.
Delle
scelte cromatiche colpiscono i bianchi, rintracciabili fra l’altro nelle
montagne di stracci che riempiono il suo laboratorio: ritratti sin dagli anni
’80, sono dovuti alla tecnica di pulire con un cencio il pennello dopo ogni
segno, come in
Standing by the Rags (1988-89).
Sono grandi
tele che vanno oltre la semplice teatralizzazione degli oggetti nello spazio, a
favore di una lettura attiva dei suoi soggetti, come in
Ib and her Husband (1992), in cui gli occhi, i pugni
e i corpi si stringono in un abbraccio parlando del torpore di un momento, sovrastati
da un muro impastato come una tavolozza, dove vi si rintracciamo i colori usati
nel dipinto.
Un
percorso che scava nel profondo della vita di Freud, attraverso quadri che si
possono definire autobiografici, grazie ai quali si visitano i suoi luoghi come
il
Garden’s painter (2005-06), o ci si confronta con alcuni autoritratti come in
The
painter surprised by a naked admirer (2004-05),
Interior with hand mirror (1967) e
Reflection with 2
children (1965),
dipinto rappresentativo della mostra. Interessanti i rimandi a grandi maestri,
come in
After Cézanne (2000),
After Chardin ( 2000) e
After Constable’s Elm (2003).
Il
percorso dell’esposizione prevede nove foto di
David Dawson e due filmati, uno ancora di
Dawson – che ritrae Freud mentre lavora – e
Small Gestures in Bare Rooms di
Tim Meara.