Quindici artisti di Los Angeles, una raccolta di quasi cento opere che includono pittura, video, scultura, istallazioni e lavori su carta. La mostra è organizzata dal capo curatore dell’Hammer Museum, Gary Garrels, il quale perpetua la serie biennale di eventi focalizzati sui lavori di artisti californiani. Los Angeles è quindi l’elemento chiave e il filo conduttore. Una città mitica che vira tra inferno e paradiso, tra sogni infranti e illimitate possibilità. Miti e clichè alimentati da una serie infinita di elementi culturali ed economici; dalla sfilata degli Oscar e American Idol, alle stelle di Hollywood, cadute e nascenti. Basti pensare a Gloria Swanson di Sunset Boulevard o all’indimenticabile Bette Davis di Whatever happend to Baby Jane (Che fine ha fatto baby Jane), per arrivare ai più efferati fatti di cronaca e agli effimeri fenomeni di spettacolarzzazione di eventi e personaggi. O ancora, alle serie televisive sulla vita di giovani ricchi di Beverly Hills a quelle ambientate sulle lunghe spiagge percorse da giunoniche bagnine. Per non parlare della musica dei “cattivi ragazzi” delle metal band. Dall’altra parte, sta il paesaggio, uno scenario quantomeno peculiare: dimensioni esagerate rimodellate costantemente dalle scosse periodiche delle placche tettoniche e i venti caldi di Santa Ana che guidano feroci incendi stagionali.
La fotografia scattata dalla mostra, attraverso un periodo di circa dieci anni, è quindi un riassunto di tutte queste caratteristiche. Il senso di violenza, sempre latente, alternato ad una voluttuosa bellezza e sensualità, fa da substrato e da richiamo diretto alla città e permea una stanza dopo l’altra. A partire dai lavori di Ken Price, in cui la metamorfosi delle plastiche pietre policromatiche sembra causata da forze naturali, dalla gravità o dall’erosione, quasi fluttuando e dissolvendosi nello spazio (zigzag, 1999 e Optimist, 1997). Così come quelle di Anna Sew Hoy, che sembrano addirittura espandersi come materia organica, come in Dark Cloud Version(2006).
Segue una serie di stanze estremamente affascinanti dove i lavori suggeriscono allusioni e racconti più o meno espliciti. Come la scultura di schiuma espansa Dream Object (2001) di Jim Shaw, che investiga il mondo dei propri sogni, saturi di violenza e visioni distorte. Matt Greene, le cui tele danno vita ad allucinogene immagini di sesso tra donne, sensuali e violente, quasi sempre armate di spade, con chiara allusione alla castrazione del potere maschile (by the lust of the basidiomycetes shall every perversion be justified, 2004).
Ad affascinare maggiormente sono i panorami di Sharon Ellis, come Fire (2002) dove un rosso chimico (alchidi su tela) si spande nel cielo sovrastando un bosco collinare, o le immense tele senza titolo di Lari Pittman, che sono sempre cariche di complesse, indecifrabili immagini di forte richiamo fumettistico, quasi pubblicitario.
Un percorso, quello di Eden’s Edge, che riflette la realtà contemporanea di Los Angeles; dinamica e immaginativa, ricca di contraddizioni. Una bivalenza senza risoluzione probabilmente, ma che personalizza il suo carattere e ne sottolinea la forza, ormai internazionalmente dirompente.
leonardo proietti
mostra visitata il 15 luglio 2007
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