“Ad Arken esiste un tema fondamentale ed un obbiettivo ufficiale: l’uomo e la sua condizione. L’interpretazione della sua esistenza. E’ nostro desiderio che una visita ad Arken apra una nuova prospettiva nella vita del visitatore, rendendolo più consapevole di se stesso e pertanto della vita”.
Con queste parole spiega Christian Gerther, direttore del museo Arken di Copenaghen, la scelta controcorrente della mostra Fernando Botero. Il pittore dell’improbabile – la prima in assoluto in Danimarca – esclusivamente dedicata all’artista colombiano. Controcorrente perché le figure opulente e carnali di Botero sono quasi un’offesa per il minimalismo e la semplicità luterana dell’estetica nazionale – si pensi solo alle linee essenziali e snelle per cui il design danese è conosciuto e apprezzato nel mondo – e perché con una scelta del genere si è consapevolmente voluto prendere le distanze da una concezione elitaria e pertanto spesso sterile dell’arte e del suo fruitore.
Le opere di Botero sono accessibile a tutti; in questo senso si può dire che i contorni estesi, i tratti infantili, i colori opachi, le tinte sature, le superfici dilatate che tutti abbiamo imparato a conoscere sono un fenomeno “pop” nell’arte contemporanea. E’ in questo mondo prevalentemente astratto e simbolista che le figure di Botero si muovono pesanti e spiccano grazie al loro valore narrativo, immediato, figurativo. Davanti ad un Botero non è necessario soffermarsi a pensare – ciò che si vede equivale esattamente a ciò che l’artista intende comunicare.
Sono in tutto 66 le tele in esposizione nell’ambito di una retrospettiva che attraversa 40 anni di intensa e prolifica attività artistica. Una retrospettiva che vuole mettere in luce l’incontro, in Botero, fra l’America Latina e l’Europa. Botero studiò in Europa e si formò pertanto alla luce dell’arte europea. Giotto, Piero della Francesca, Rubens, Velázquez, sono da sempre oggetto di studio, ammirazione e libera parafrasi da parte del pittore colombiano. Ma il tratto magico e la fusione inestricabile di tragico e comico sono l’impronta indelebile di una eredità culturale sudamericana. E’ inevitabile il richiamo ai romanzi di <b<Gabriel Garcia Marquez (di cui Botero è stato peraltro illustratore) e Isabel Allende, all’atmosfera crepuscolare delle ore languide che questi evocano. Un esempio estremo di questa toccante miscela di drammatico e grottesco è Melanconia, dove un irsuto uomo d’affari è ritratto in delicati abiti femminili nella sua camera d’albergo, solo nel suo dramma di un’identità sessuale ufficialmente bandita e condannata.
I personaggi di Botero sono ritratti anonimi, che si assomigliano fra loro. E’ quasi una condizione esistenziale quella che Botero coglie e ritrae nelle sue tele, cristallizzandola in forme gonfie e dilatate. Al silenzio dei personaggi si sovrappone però la dialettica dei dettagli, minuti ma eloquenti: i mozziconi di cicche sul pavimento, gli effetti personali, una mano che si intrufola nella composizione altrimenti immobile, le unghie smaltate di rosso, la trama dei tessuti, etc.
Botero rilegge inoltre il genere prettamente europeo della natura morta, spogliandola del suo simbolismo originario e superando in questo l’arte astratta a lui contemporanea. Le immagini qui hanno un valore puramente estetico. In Pera, un ingigantito frutto maturo colto nell’attimo prima della definitiva decomposizione, la superficie color ocra è attraversata da un piccolo verme, sorridente e ammiccante come uno smiley, che bilancia così – a fini puramente estetici – la massa opaca del frutto che riempie altrimenti la tela.
Stupisce però in Botero un’aderenza quasi ossessiva ai canoni ed al linguaggio espressivo che lo ha reso famoso. Per decenni l’artista ha espresso se stesso in modo univoco, e viene da chiedersi se – e perché – l’artista non senta il desiderio di uscire dalla strada finora percorsa e superare quel cliché un po’ “da cartolina” che è diventato il suo marchio.
Come da copione le tele di Botero sono seguite da un corteo di otto sculture, che in questi giorni e fino ai primi di giugno popolano la via pedonale di Copenaghen. Ampie, prepotenti, inevitabili, le sculture suscitano il consueto effetto-Botero: curiositĂ seguita da un contagioso scoppio di ilaritĂ . In questo Botero ha certamente realizzato la sua ambizione di trasmettere, attraverso le sue opere, la gioia di vivere.
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Anna Vian
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Caro Andan, sono daccordo con te. L'arte ripetitiva, retrograda e un po cafonazza come quella di Fernando Botero ha decisamente molto da imparare da personalitĂ come quella di Bueno
Ho avuto modo di vivere l'esperienza di una enorme piazza (piazza del Commercio a Lisbona nel gennaio del 1998)letteralmente gremita di sculture di Botero di tutte le dimensioni.
Effettivamente,concordo con l'articolista,l'impressione di allora fu di grande buonumore e di piacevolezza estrema.
A distanza di anni e con un progressivo aumentare della mia personale consapevolezza artistica (e ci tengo a sottolinearne la soggettività ),l'essermi avvicinato a pittori senza ombra di dubbio meno famosi e di moda (anche se veri maestri)come Antonio Bueno(da cui Botero ,indubbiamente, ha tratto ispirazione)e Ledda (ingiustamente tacciato da chi non lo conosce bene di rifarsi a Botero-non può essere avendo cominciato a dipingere i suoi soggetti "opulenti" ancor prima del colombiano)ho molto ridimensionato l'immagine che mi ero fatta dell'artista.
E' indubbiamente bravo!
ma gli stacchetti di Maurizio Costanzo forse hanno preso il sopravvento.
E anch'io preferisco vivere!!!
Saluti.