Il comunicato diffuso dal presidente della fondazione Maison Rouge una decina di giorni prima dell’apertura della mostra
Sots art ha il tono dell’incredulità: quando Antoine de Galbert visitò, il marzo scorso, l’esposizione alla galleria nazionale Tetriakov di Mosca, certo non immaginava che quel che era esposto ufficialmente in Russia sarebbe diventato “pornografico” a Parigi. Eppure è questa la motivazione con cui il ministero della cultura russo ha giustificato il mancato invio di alcuni lavori. La mostra resta molto ricca e non ne soffre. Semmai, l’episodio è emblematico dei mutamenti della censura: dalle interdizioni politiche che colpivano il nucleo storico del movimento
sots art a quelle decisamente più “biopolitiche” che aleggiano sui giovani artisti della Russia di Putin.
La
sots art, pop art del socialismo reale, nasce nel 1972 intorno ai lavori e ai progetti del duo
K&M (Vitaly Komar e Alexandre Melamid). La strategia è quella di esporre le icone e i codici del socialismo reale sovietico (e della sua arte ufficiale) a un dissacrante “rovesciamento linguistico”. L’artista
sots è un bricoleur, un trickster capace di mettere a nudo gli ingranaggi semiotici del potere, come mostrano le azioni degli anni ’70.
K&M tritano e mangiano la Pravda (1976), prendendo alla lettera la sua denominazione di “nutrimento spirituale”, mentre i
Due minuti senza respirazione del gruppo
Gnezdo (1977) banalizzano il programma ecologico del partito ma evocano anche la cappa politica e culturale di quegli anni.
Gli oggetti
sots emanano direttamente dal sistema burocratico e repressivo che soffoca la società russa: più si tenta di aprire la
Serratura assurda (1978) di
Leonid Sokov, più l’ingranaggio chiude e costringe. Negli Stati Uniti -dove molti artisti fuggono a partire dal 1975- il “gioco delle opposizioni”, che il curatore individua come
“l’essenza” del metodo
sots, diviene una cifra stilistica riconoscibile, esibendo però analogie sempre più letterali con la pop (
Stalin e Monroe di Sokov, l’insegna
Mac Lenin di
Kossolapov).
Prospettive più originali affiorano nell’ultima parte della mostra. La bella sala dei
baci rituali è dedicata al rapporto tra i segni convenzionali del potere e la dissimulata sfera di desiderio e fascinazione erotica che ne nutre sempre l’efficacia. Le foto di Lenin e Stalin con in braccio due ragazzine svelano tutta la loro ambiguità, allorché
Vagrich Bakchanyan nel 1975 le trasforma in possibili copertine per il romanzo
Lolita. Trent’anni dopo,
Dmitri Vroubel ritrae il bacio “alla russa” tra Brejnev e Honecker e titola:
Dio aiutami a sopravvivere a questo amore fatale. La censura russa si è concentrata proprio su questo nodo, rifiutando di inviare la foto del duo
The Blue Noses (Viacheslav Mizin e Alexandre Shaburov), in cui il bacio rituale dei funzionari appare definitivamente trasformato in un bacio omosessuale e desiderante tra due poliziotti (
Mercy Era, 2005).
Che ne è delle icone del socialismo reale? I giovani artisti della russia post-sovietica le trattano ormai da archeologi, con l’ambivalenza riservata ai simboli di una civiltà perduta. Nell’installazione video degli stessi Blue Noses, Lenin non è ormai che una piccola figura inquieta che
“si rivolta nella tomba”.
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Interessante davvero!
Interessante approfondimento. Grazie Angela.