Dopo una memorabile mostra
fotografica del 1993, che illustrava in termini mitici il ventennio ‘70-‘80, la
celebratissima
Annie Leibovitz (Westport, 1949) torna alla Kunst Haus di Vienna – ovvero
il Museo Hundertwasser – per metterci sulle tracce iconiche del quindicennio
successivo.
Questa volta, però, la narrazione
ha un’impronta drammatica. Fra celebrità in declino e nuove generazioni, la
galleria fotografica tratteggia un vissuto che penetra anche negli affetti
familiari e personali, segnati inevitabilmente da guadagni e perdite in termini
di vite umane. E non c’è dubbio che la netta prevalenza del bianco e nero,
insieme a una certa sgranatura dell’immagine fotografica, siano la cifra
stilistica più congeniale a rendere palpabile lo scandire drastico del flusso
temporale.
“
Sei sempre di passaggio nella
vita di qualcun altro”,
dice la newyorchese Vicki Goldberg, storica e critica della fotografia, in un
lungo video-documentario densamente popolato di personaggi del jet-set
intellettuale e artistico. Tutti loro, chi più chi meno, sono stati di
passaggio nella carriera di Leibovitz. Ed era inevitabile che la vita di una
delle più rinomate fotografe dell’America contemporanea s’incontrasse, e poi
fatalmente si sovrapponesse per affinità elettive, alla vita di Susan Sontag, l’intellettuale
americana che proprio alla fotografia aveva già da tempo consacrato quell’impareggiabile
saggio intitolato
Sulla fotografia.
Man mano che si percorrono le
immagini, si percepisce come la mostra sia dedicata a questa sua amica e
compagna per circa un quindicennio. Due vite inseparabili, fino alla morte
della scrittrice nel 2004. La sua immagine compare spesso in numerose
situazioni, a New York o nei molti viaggi. Ma la vediamo anche in pose più
intime e poi nel letto d’ospedale, quando deve sottostare alle cure contro il
cancro. E oltre ancora, in quegli scatti in cui Leibovitz ne ritrae il corpo
privo di vita.
Il corpo, o meglio la figura umana,
è in effetti l’elemento che predilige: in esso cerca l’espressione di un senso
compiuto, l’istante quale sintesi di un’azione o il frammento di tutta
un’esistenza. È sua l’immagine che immortala John Lennon nudo, in posizione
quasi fetale, avvinghiato a una
Yoko Ono vestita e con capelli lunghissimi; era il 1980. Dal
video-documentario si viene a sapere che fu scattata quel fatidico 8 dicembre,
poche ore prima che Lennon venisse ucciso a colpi di pistola da un fan
squilibrato; quella immagine, però, faceva parte del capitolo anni ’70-‘80.
Come fosse il rovescio di una
stessa medaglia, ora c’è un Johnny Depp vestito, disteso sul letto in un
momento di totale abbandono sopra il corpo nudo di Kate Moss, in uno scatto del
‘94. Colpiscono poi i due ritratti di un William S. Burroughs ottuagenario, che
emergono netti da uno sfondo nerissimo. C’è un DiCaprio molto giovane, in
tenera effusione con un cigno tenuto in braccio; c’è
Cindy Sherman in una sua performance e un
Matthew
Barney immortalato in un suo travestimento.
Col suo talento, lei stessa è
diventata una star al pari dei tanti personaggi famosi che le ruotano attorno.
Ma certo per i teenager degli anni Settanta lo era già allora, quando, poco più
che ventenne, fotografava i protagonisti della scena rock e underground per il
magazine
Rolling Stone.