Geniale è la collocazione, e lo è perché veramente spiazza
e attrae lo spettatore medio, turista immolato al percorso suggerito dalla
guida e prigioniero per un numero variabile di ore nel museo da non perdere a
quattro asterischi.
Collocata nella Sunley Room, ovvero la più centrale delle
sale del piano nobile,
Hoerengracht potrebbe essere qualsiasi cosa tra una quinta teatrale,
una vetrina di un grande magazzino, il set di un video musicale ispirato alle
glorie di Raffaella Carrà, un presepe gigante e la rielaborazione moderna di
portali tardogotici di polittico d’oltralpe ad altorilievo.
Realizzata tra il 1980 e il 1983, questa installazione è
la coerente amplificazione di
Roxys, ovvero un grottesco bordello ritratto da
Ed Kienholz (Fairfield, Washington, 1927 –
Los Angeles, 1994) una ventina d’anni prima e ampliamente contestato quando
esposto al Los Angeles County Museum nel ‘66. Ma – per quanto gli undici
manichini olandesi, cotonati come Barbara Bouchet ai tempi del Confetto Falqui,
rientrino
in toto nella lirica social-provocatoria dei coniugi Kienholz (
Nancy Reddin Kienholz, Los Angeles, 1943; vive a Hope,
Idaho, Houston e Berlino),
fatta di aborto, prostituzione e malattia mentale –
la composizione nel suo insieme supera il suo stesso tema e si impone per la
piacevolezza malinconica della forma, equilibrata e soffice, costruita su un
raffinatissimo gioco di luci.
Non a caso due dipinti di
Jan Steen anticipano la visione e marcano
un per altro chiarissimo anello di congiunzione che lega la
Via delle
puttane alla
pittura di genere olandese secentesca, dove la libertà dalla cattolicissima
Spagna si celebra anche a suon di madamigelle discinte a bordo letto. Legata al
passato, oltre che dal tema, da un uso delle fonti luminose che passa da
Rembrandt ma nasce nella tradizione della
pittura a olio rinascimentale fiamminga,
Hoerengracht è l’ultimo atto di un mondo che
fu, libertino nei canoni di una condivisa decenza che non è
pruderie ma rispetto reciproco e senso
della comunità.
A osservarla così, da visitatori ad essa impreparati nel
tardo 2009, questa scenografia appare come un canto del cigno, dove donne-oggetto
hanno i visi incorniciati in latte che sono scatole di biscotti, e – cassandre
– sfogliano riviste patinate dove donne idolo della stampa scandalistica
lasciano intravedere il raggiante futuro della mercificazione dei corpi
femminili. Signore premonitrici di foschi presagi.
Apparentemente di lettura diretta e schiettamente
rivelatrice,
Hoerengracht nasconde dunque una serie di significati intimi e
pensosi, nati dalla sua interazione col presente e indipendenti dai suoi stessi
creatori.
L’intelligenza della curatela sta proprio nel voler
eclissare l’ottimo apparato documentario che l’opera supporta, che ne spiega il
concepimento e lo sviluppo, ma a cui si arriva quando ormai un’idea ce la si è
fatta. Intatta rimane dunque l’integrità del nostro approccio, creando un
cortocircuito interpretativo che raramente trova spazio nelle sale istituzionali
dei grandi musei nazionali.