Sono perfettamente complementari le mostre in corso nei
musei di Lugano: se
Corpo, automi, robot mostra come le macchine assomiglino sempre più
agli esseri umani,
Guardami, al Museo Cantonale, fotografa la crescente
spersonalizzazione dell’uomo postmoderno.
Il tema è vasto e di sicuro richiamo, ovvero la
persistenza e il ritorno del ritratto nell’arte contemporanea (dal 1969 a
oggi). Ma la trattazione è scientifica e intellettualmente onesta. Nessun
ottimismo rassicurante per fare cassetta, ma una fotografia precisa di come
l’alienazione dell’individuo trovi una forte eco in arte; il ritratto è ormai
mondato da retaggi come la corrispondenza tra occhi e anima. Lo sguardo è
rivolto altrove, o addirittura verso il vuoto, alla ricerca di un disatteso
contatto con gli altri.
Si aggiunga che degli artisti in mostra – nomi di per sé
eccezionali – sono esposte opere di gran livello, in molti casi capolavori.
Il
risultato è una mostra altamente rappresentativa sia dell’arte contemporanea
dalle neoavanguardie in poi, sia del tema trattato e delle sue ricadute
sociali. In linea con l’abituale qualità delle esposizioni al Cantonale, museo
esemplare per rigorosità.
Quattro sezioni esplorano i diversi tipi di sguardo nel
ritratto contemporaneo. Le più rappresentative sono ovviamente
Lo sguardo
negato, ovvero
come gli occhi si velano di assenza a se stessi e di alienazione, e
Autoritratto. Quest’ultima categoria registra
uno scarto netto con i canoni del passato: scevro da protagonismi e superomismi
tardoromantici, l’artista immola la propria immagine come parafulmine dello
smarrimento collettivo.
Più dialettica la sezione
Nel volto, dove le figure ritratte cercano
un contatto con altri sguardi e desiderano, anche con sottintesi di seduzione,
l’attenzione altrui. Mentre in
Nel tempo la questione della memoria del volto e
dell’identità ha sottintesi riflessivi e talvolta oscuri, legati al decadimento
e in ultimo al pensiero della morte, del dissolvimento del volto raffigurato (o
suggerito).
Tantissime le opere che andrebbero citate (tra i quaranta
autori,
Paolini,
Rainer,
Abramovic
e
Ulay,
Monk,
Close,
Freiwald,
Roccasalva,
Roni Horn,
Laurie Anderson,
De Dominicis,
Cragg).
Fra le opere storiche, il ritratto con gli occhi schermati
di
Penone, il
ciclo
Studies for holograms di
Nauman e il Mick Jagger in fuga dai fan ritratto da
Hamilton.
Gerhard Richter ritrae
Gilbert & George,
Schinwald riflette su mostruosità e
parziale decomposizione,
Boltanski e
Ruff, con piglio politico, ritraggono per metonimia l’intera
società del loro tempo.
Il volto-geode di
Francesco Gennari è un ottimo esempio del suo
straordinario mix di solennità e ironia, mentre il caso di
Craige Horsfield è peculiare: più che
dall’intensità dell’opera, comunque altissima, l’emozione è suscitata dalle sue
qualità formali, dalla grana pittorica delle fotografie. Straordinari, infine, i
due dipinti di
Alex Katz, di cui uno di formato minuscolo, preziosissimo.