Al Museum of Contemporary Art di Chicago, due enormi sale ospitano i più significativi lavori di
Jeff Koons (York, Pennsylvania, 1955; vive a New York e a York), dagli anni ‘70 a oggi, allestiti in ordine cronologico.
L’arte di Koons percorre i secoli e le correnti, ispirandosi a
Courbet e
Duchamp, per passare attraverso l’essenzialità di
Brancusi e la sfacciataggine di
Warhol, servendosi del mondo di A. A. Milne, il creatore del dolcissimo e impacciato Winnie-the-Pooh. Ed ecco delinearsi il suo stile: irriverente, sensuale, barocco, bambinesco.
I materiali prediletti sono la ceramica, la porcellana e il legno policromo, con cui realizza iperrealistiche sculture, come quelle della serie
Banality (1988), un’amalgama di scontatezza e seduzione, di raffinata esecuzione accompagnata da “basso” gusto. Sorrette da esplosioni di colori e insignificanti dettagli. Lo stesso Koons sostiene di voler rappresentare le cose per come sono: “
È come sdraiarsi su un prato e fare un lungo respiro. Questo è quello che il mio lavoro cerca di fare, essere il più possibile apprezzabile proprio come quel respiro”.
Koons apre la serie di
Banalità riproponendo la dicotomia tra il sublime e l’ovvio, tra una scultura di sostanziale valore e il kitsch più degradante.
Banality vede sensuali busti di donna in vasca da bagno, avvinghiati a braccia di Pantera Rosa, bambini in marcia e piramidi di animali dalle sottili e ambigue pose sessuali. Per non dimenticare la quasi profetica rappresentazione di
Micheal Jackson and Bubble, in oro luccicante e bianco smaltato.
In mostra anche la serie
Made in Haven (1989-92), per la realizzazione della quale Koons ha esplorato e analizzato a fondo la propria sessualità e moralità, rimuovendone la paura e il senso di colpa, per approdare a sincere ed esplicite rappresentazioni di quello che l’artista definisce l’Eterno: “
Ci sono due elementi che determinano l’eterno, quello biologico e quello spirituale”, entrambi rappresentati da gigantografie dello stesso Koons e della ex moglie Ilona Staller, alias Cicciolina. Ancora esplicite pose sessuali e freddi busti marmorei che ne sublimano l’unione spirituale.
Rallegrano l’atmosfera i coloratissimi
Popey (2002), collage e assemblaggi di oggetti gonfiabili e d’uso comune lungo la scia dei ready made. Valga come esempio il grande bruco colorato che si affaccia tra i pioli di una scala.
Koons sa essere dissacrante e sincero, diretto e allusivo, semplice e complesso. Esattamente come l’America. Una delle ultime opere rende forse omaggio alla sua patria, elevando a qualità di opera d’arte i più comuni simboli americani come il pallone da pallacanestro o l’incredibile
Hulk Elvis (2005): un gigantesco ritratto del fumettistico omone verde in un avveniristico mix di realismo e astrattismo.