L’opera di Pedro Cabrita Reis (Lisbona, 1956) porta iscritto, come stigmate, il fermento politico e sociale della Lisbona post-rivoluzionaria del ‘74. Prima di consacrarsi interamente al suo lavoro artistico, ha animato per oltre un decennio Arte y opinião, una rivista in cui il paradigma di riferimento era quello dell’attività politica. Ma la sua produzione è permeata anche da quel sentimento di saudade che conosciamo grazie a Pessoa e Tabucchi. E’ la presenza simultanea di questi due elementi a radicare la sua opera nella cultura portoghese e a costituirne la singolarità.
Da una parte, l’uso di materiali poveri o di scarto come neon, mattoni e travi, che formano le sue installazioni, sospese tra scultura e architettura. Come The Unnamed Word # 2 – che accoglie i visitatori della mostra parigina – in cui una lastra di vetro colorata è imprigionata in un’ossatura di ferro, ravvivata dalla luce dei neon e da un fitto reticolo di fili elettrici. Il contrario di quanto fa, ad esempio, la videoarte, tesa sempre più a nascondere il suo apparato tecnico, dispiegando immagini disincarnate, dall’origine invisibile.
Dall’altra parte, le opere di Reis sono attraversate dalle tracce del passaggio umano, per quanto la sua presenza si sottragga e si dia solo in negativo. E’ il caso di A propos des lieux d’origine # 1, un percorso in cui i fili elettrici diventano il sistema nervoso ed energetico di una struttura orizzontale che corre per tutta la sala.
Spetta al pubblico, circolando al suo interno come in un labirinto, riattivarne la memoria. L’artista così ricostruisce, o meglio reinventa, la geografia di un territorio urbano all’interno di una galleria, dando forma alla sua personalissima percezione. E la memoria diventa l’antidoto alla nostalgia.
“Dopotutto, l’architettura riguarda più la definizione di territori che la costruzione di case. Il mio lavoro di artista si sviluppa attorno all’architettura intesa come disciplina mentale o esercizio sulla realtà”: così dice Reis, in un’intervista con Adrian Serle. La sfida consiste dunque nel riuscire ad allestire una sala espositiva che evochi, se non restituisca, il senso del luogo. Fisico quanto psicologico. A tal proposito Reis usa un’immagine visionaria per definire l’artista, che è simile a colui che sa indicare la provenienza di un corso d’acqua solo osservando l’ombra che una pietra proietta sulla sabbia. Più che un programma, una figura della saudade.
riccardo venturi
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