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Mentre la FIAC Grand Palais rimane aperta dal 19 al 22 ottobre, l’allestimento fuori le mura nei giardini delle Tuileries, iniziato la scorsa settimana avrà la durata auspicata di un mese, superando i pochi ma intensi giorni di esposizione delle gallerie all’interno della sede centrale. Grazie alla gratuità dell’accesso, un più vasto pubblico può usufruire delle opere d’arte contemporanea scelte da un comitato di esperti, con il sostegno delle gallerie e la disponibilità del Louvre.
In occasione dell’opening, alla presenza dell’artista, è stata svelata l’opera di Jim Dine Thru The Stardust, The Heat On the Lawn (Claude), allestita al centro, nell’asse tra la facciata orientale del Louvre e l’obelisco della Concorde. Residente durante un anno alla Manifattura di Sèvres, l’artista Pop presenta 10 vasi, alti da 105 a 130 cm, ciascuno sormontato da utensili in bronzo. Rappresentano gli arnesi utilizzati da artigiani e artisti che producono opere di qualità. Cotti nei forni della storica Cité de la céramique sembrano fare eco ai 9 stampi maschili duchampiani, liberati dalla bidimensionalità del vetro. Su ogni vaso, leggiamo frasi di un poema dedicato al celebre antropologo Claude Lévi Strauss e pubblicato dall’artista, in 250 esemplari.
Mel Bochner espone un telone nero sul quale sono trascritti in caratteri romani gialli parole Yiddish. Lo stesso artista ne ha dato una versione in inglese destinata alla comprensione dei fruitori: Wise guy, Chronic complainer, Nag, Sad Sack, Pesterer, Crazy Person, Cranky, Old Man, Gossip, Someone who pees in his pants, Blowhard, Troublemaker. Il titolo The Joys Yiddish evoca un libro che negli anni Cinquanta indicava le associazioni tra l’antica lingua e l’americano. Installando l’opera parallelamente al Jeu de Paume Mel Bochner ha voluto esplicitamente rendere omaggio a Rose Valland che durante l’ultima guerre lavorava in quel museo, ridotto allora a deposito per le opere rastrellate alle famiglie ebree deportate e destinate alla Germania. Mentre i gerarchi nazisti venivano in loco a fare incetta, la storica dell’arte francese, mettendo a repentaglio la propria vita, annotava di nascosto le destinazioni riservate alle migliaia di opere rubate.
Di fronte, in disparte Antonio Caro adotta un vocabolario pop impegnato, nominando figurativamente il suo paese, Colombia, con l’immagine moltiplicata del pacchetto di sigarette Marlboro. L’aspetto finemente elegante non maschera l’allusione, ironica e stridente, al connubio fra diversi poteri. Sul lato della Place de la Concorde, Claude Viallat ha rivestito l’interno delle rampe di accesso con due tele giganti impresse con la sua cifra, l’una rosa, l’altra grigia. Integrandole perfettamente all’elemento minerale, ne accentua il sentimento di accoglienza. Vicino, con le sue sculture galleggianti Marta Pan (1923-2008) occupa il grande bacino d’acqua, una metafora della libertà dei movimenti au gré de l’eau.
In contrasto con l’aspetto maestoso del viale centrale che collega la Concorde all’Esplanade del Louvre, si estende la serra di Patrick Saytour. Dal plastico giallo a mezzo cilindro sbuca una successione di cipressi innalzati a forma d’orecchie d’asino. La natura ha strappato la plastica che doveva metterli al riparo e preso il sopravvento. L’opera del 1987 esprime un tema molto attuale.
Ali Cherri, The Flying Machine, 2017
Navid Nuur, iraniano, scommette su l’infinitamente piccolo con il calco di un pezzo di carta d’alluminio stropicciata, piazzato su una panchina delle Tuileries. Al suo interno e attorno sono sparse briciole di pane. L’illusione è perfetta. Non ci sono dubbi, sembra che un visitatore abbia dimenticato sul luogo di sosta i resti del suo pasto. Allude evidentemente al degrado provocato attraverso piccoli gesti incontrollati che contribuiscono certamente al notevole degrado.Talvolta un uccello viene casualmente nutrirsi. Il pane scompare grazie al riciclo naturale. Ma la carta?
Pugnaire e Raffini sviluppano al centro del giardino 24 «onde» in metallo che esprimono le 24 immagini al secondo dei filmati. Gli artisti amano riferirsi chiaramente anche alla scansione del movimento dipinto da Marcel Duchamp nel ben noto Nudo scendendo le scale. The Flying machine di Ali Cherri rinnova l’iconografia della macchina celibe associata agli studi leonardeschi sul volo degli uccelli. Dall’altra parte, riposta sull’erba, una pietra tombale, levigata, sulla quale Ryan Gander ha inciso alcune parole in parte cancellate, forse dal tempo, per rendere omaggio all “Abbé Faria”. personaggio reale diventato fittizio nella letteratura grazie ad Alexandre Dumas, Our time is limited… ricorda il titolo.
Gilles Barbier introduce un elemento ludico, poggiando sul verde un monumentale dado rosso, fermato nel suo cammino da una piccola roccia. Un incontro determinante fra il caso e l’incidentale? Julien Berthier mostra le sembianze di due « nemici delle città », i piccioni e « gli ingombranti ». Materiale, stile e montaggio mostrano la capacità dell’arte a nobilitare comunque, perfino quando richiamano un vero degrado. Jean Denant imposta una corrispondenza fra il titolo, Cartografia dei processi, e l’elemento verticale dell’installazione in aluminio dipinto di bianco che si erge dietro un letto dello stesso materiale. La presenza del letto ne modifica la lettura, da carta perforata a paravento. In una sorta di polisemia continua, insita all’arte, il letto diventa anche il divano dello psicanalista.
Joao Vasco Paiva, artista portoghese che vive e lavora a Hong Kong, presenta due gruppi di opere molto diverse ma dal colore scuro simile, quello della roccia vulcanica. Rappresentano ambedue forme totemiche della modernità diventate rovine contemporanee, una cucina e due sculture ricostituite, venute da un parco giochi abbandonato, Taman Creature, specie di robot dall’aspetto animalesco. Il collettivo cubano Los Carpinteros ha installato all’angolo di un’aiuola alcuni chiodi giganti arrugginiti. La finzione ribalta l’ordine di grandezza. Nella loro nuova dimensione i chiodi interrogano sulla funzione delle cose nel loro divenire. L’artista colombiana che vive a Londra, Maria Elvira Escallon usa ceppi d’alberi secchi spezzati nel mezzo dall’usura ma accuratamente lisciati nelle altre parti e nobilmente presentati su quattro cavalletti in una delle aree razionalmente disegnate dall’architetto dei giardini di Luigi XIV, Lenôtre.
Con Le chemin du retour l’artista franco-libanese Stéphanie Saadé allude ad ogni sorta di ritorno, sentimentale e simbolico. Le lastre di pietra bianca sistemate in mezzo all’erba segnano le zone di calpestio ed evocano un percorso obbligato ma tortuoso. Grazie a queste tracce protettive si puo’ percorrere un luogo abitualmente vietato.
Anche quest’anno non manca la presenza degli architetti. Accanto a Replicable Space (2017) di Christian de Portzampac, ritroviamo Jean Prouvé con una Casa smontabile realizzata nel 1944 per alloggiare gli abitanti della Lorraine rimasti senza tetto durante la Seconda Guerra Mondiale. Rifugi che potevano essere montati in una sola giornata. Nel 1947 l’architetto ricevette la Medaglia d’oro della Riconstruzione e dell’Urbanismo per queste abitazioni d’urgenza. Una riflessione attuale rinnovata che si distacca dalle proposte di Le Corbusier e dei suoi seguaci.
Sempre durante questo un mese potremo vedere le opere altrettanto degne di interesse di Hera Buyuktasciyan, George Condo, Marc Couturier, Eriek Dietman, Folkert De Jong, Stefan Rinck.
Michèle Humbert
Dal 19 ottobre al 22 novembre 2017
Hors Les Murs
Giardini delle Tuileries, Parigi
Orari: tutti i giorni dalle 7:30 alle 19:30