Georg Baselitz (Deutschbaselitz, 1938) comincia a capovolgere i soggetti che dipinge nel 1969. Da quel momento la pratica della sospensione visiva dell’immagine, quella inserita nei canoni della normalità statica e gravitazionale, abita lo spazio pittorico delle sue tele. Senza che la forma abbandoni né la propria verità né tanto meno la propria finzione. E ancora oggi, a chi chieda all’artista se i soggetti nascano già sottosopra o siano le tele ad essere poi voltate al momento dell’esposizione il pittore risponde: “volevo apparire attraverso ogni opera che facevo e che faccio. E per un dipinto, se si cerca qualche cosa con la quale apparire bisogna andare contro la convenzione. Perché il talento è lotta. E poi perché per fortuna nella convenzione esistono punti non definiti che possono sempre essere cambiati. Insomma, un libro lo si può leggere da ogni parte, esattamente come un’immagine. E a volte solo un dipinto a testa in giù comincia ad essere interessante.”
Al Museo d’Arte Moderna di Lugano il pittore tedesco torna a mettersi alla prova, presentando una serie di nuovi lavori dal titolo Remix. Un gruppo di opere recenti che vanno dalle tele dipinte a olio fino ai disegni fatti con penna su carta. La vera sorpresa, a livello espositivo, è la scelta di non seguire un ordine temporale per presentare la sequenza dei pezzi in mostra. L’attuale disposizione tematica dei quadri riesce a far capire con più immediatezza l’intento raffigurativo e il percorso estetico che hanno portato a questa nuova serie. “La mia è una serie di opere auto-retrospettive. Questa nuova mostra spalanca porte e finestre e riunisce tutto il materiale che ho dipinto, raggruppando anche cose estremamente diverse tra loro. Ci sono stati momenti di pittura e di contrasti molto importanti e non sempre riconducibili ad un solo modo di
E continua: “Il fatto di riproporre temi già affrontati da me in passato è come chiedersi se dipingendo io non mi sia perso qualcosa. E allora diventa un problema costante con la mia testa. Devo prendere il lavoro come un modello e ridisegnare le tappe della mia vita, quasi come se tornassi a leggere un diario della mia vita. Così dimostro che faccio opere perché appaiano in un modo nuovo, in un modo in cui non ho problemi a trovare una motivazione. Questa mostra diventa allora una sorta di resurrezione di tanti dipinti dei quali non sono più in possesso. E allora posso lavorare sotto il dictact che la pittura sia veramente morta.”
Nei piani sottostanti, sotto la sala della conferenza, alle pareti campeggiano dipinti che a volte catturano anche una stanza intera. Il tratto di Baselitz è di una pastosità e di uno spessore che, assieme, annullano il rigore formale della pennellata, lontana dai suoi obblighi. Solo così l’artista può permettersi di stare al di qua delle definizioni, giocando sul limite di un sentiero che non è mai né completamente astratto e neppure espressamente figurativo. Il continuo sfregamento tra distruzione del soggetto e costruzione dell’oggetto pittorico brutalizza la forma ma provoca, sulla superficie della tela, un movimento. Un moto discendente che inonda la composizione a partire dall’alto e si esaurisce colando verso il basso. Proprio lì, sul fondo, dove l’occhio duplica lo sforzo nel creare somiglianze con il reale. Lì dove la proiezione del vero è stata catturata, vinta e, infine, capovolta.
ginevra bria
mostra visitata il 4 maggio 2007
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