Una giovane dalla chioma fluente,
gli occhi bendati, barcolla verso il ceppo su cui dovrà posare il collo adolescente.
È Lady Jane Grey, la diciassettenne che nel 1553, alla morte di Edoardo VI,
aveva ereditato la corona inglese. Ma è un regno di breve durata, il suo, e
nove giorni più tardi Maria, la cugina cattolica, prende il potere con un colpo
di mano. Processata per tradimento, Jane è imprigionata nella Torre di Londra;
condannata a morte, viene decapitata il 12 febbraio 1554.
Esibito al Salon del 1834 con un
incredibile successo di pubblico,
L’esecuzione di Lady Jane Grey (1833) di
Paul Hippolyte
Delaroche (1797-1856),
con le sue melodrammatiche damigelle in lacrime, il boia in calzamaglia (più simile
a un menestrello che a un carnefice) e una regina che sembra uscita da una
rivista di moda parigina, è un quadro che in teoria non dovrebbe piacere al
pubblico di oggi. Ma di fatto non è così. Delaroche dirige la scena con
militare efficienza e lo sguardo si trova, suo malgrado, a vagare in agonia tra
il ceppo e l’ascia, inaspettatamente ipnotizzato dal grottesco contrasto fra la
risplendente giovinezza della fanciulla e la spoglia freddezza della prigione.
Risucchiato nel dramma in technicolor
che gli sta
davanti, anche lo spettatore moderno è costretto ad arrendersi: non resta altro
da fare che sedersi e godersi lo spettacolo offerto dalla nuova mostra della
National Gallery,
Painting History: Delaroche and Lady Jane Grey.
Ma cosa porta un artista francese
della prima metà dell’Ottocento a dipingere gli ultimi momenti di vita di una
lontana regina inglese? Come per altri artisti post-rivoluzionari, anche le
simpatie monarchiche di Delaroche trovano uno sbocco nella storia e nella
letteratura inglese. Da Shakespeare a Byron a Walter Scott, gli eventi passati
della storia britannica offrono utili parallelismi con il recente passato della
storia francese e con gli agghiaccianti eventi della Rivoluzione. Armato di un
realismo ad alta definizione, Delaroche dipinge scene di martirio, usurpazione
e prigionia che evocano neanche troppo velatamente le tragiche vicende di Maria
Antonietta, di Luigi XVI e del Delfino, incarnate – oltre nel già citato
L’esecuzione
di Lady Jane Grey – in quadri di dimensioni monumentali, come
I principi nella Torre (1830),
Cromwell che apre la
bara di Carlo I (1831),
Strafford sulla via del patibolo (1835) e in numerose stampe.
Delaroche lavora sempre con un
modello vivente, forse quella stessa Mademoiselle Anaïs (un’attrice con cui
l’artista aveva stretto una relazione sentimentale) che si dice abbia posato
per la figura di Lady Jane e il cui ritratto del 1832, in gesso colorato, è qui
esposto per la prima volta.
Le sue composizioni sono eleganti,
patinate, teatrali. E proprio le possibilità spaziali offerte dalle scenografie
teatrali hanno un enorme impatto sui suoi dipinti. Particolarmente attento al “dietro
le quinte”, all’aspetto privato, intimo o – perchè no? – illecito della scena,
il francese crea una pittura di storia in cui l’elevazione morale è soppiantata
dalla tensione narrativa.
Melodrammatico, austero,
sentimentale, teatrale, patetico: non importa quale aggettivo si usi per
descriverlo. Scopo di Delaroche è solleticare la fantasia. E uscendo dalla mostra
si ha la sensazione che il francese, ancora una volta, ha fatto centro.