In collaborazione con la 303 Gallery di Nyc e la Miro Gallery di Londra, Eva Presenhuber porta il californiano Doug Aitken (1968, Redondo Beach, California; vive a Los Angeles) alla prestigiosa Art Unlimited 2005 di Basilea. Con Skyliner, un’istallazione del 2005 che apre nuove visioni sull’artista rivelatosi alla Biennale di Venezia del 1999.
Qui i suoi temi ricorrenti sono presenti al completo. Unico assente, il video. Aitken scolpisce un paesaggio sonoro senza ricorrere al mezzo visivo che ne ha caratterizzato l’opera fino a oggi. Un tappeto tondo formato da ipnotici cerchi concentrici bianchi e blu; degli altoparlanti a metà tra la doccia e i mobile di Calder ruotano sulle teste, mentre ronzii elettronici e voci sussurranti si avvicinano e si allontanano. Loop, noise e ambientazioni fluttuanti riprendono in pieno l’idea del everywhere/nowhere dei suoi video. Chi da Basilea si può spostare a Zurigo, troverà in galleria le eleganti narrazioni video. Il processo di distillazione in questo senso approda a una vera maturità, già raggiunta dall’iconografia. L’istallazione The moment (2005) moltiplica l’immagine su dodici schermi che, dal soffitto, pendono in mezzo allo spazio espositivo. La sequenza si dodecuplica e si riunisce all’unisono, seguendo altrettante narrazioni.
Si trova il vero soggetto dell’opera di Aitken: la narrazione pura. Viene raccontata la giornata-loop di dodici persone: il sole sorge e tramonta, mentre i protagonisti alternano il sonno alla veglia. I personaggi sono minimizzati dalle inquadrature che ne seguono solo i dettagli piuttosto che la figura intera, scomponendone la personalità in elementi comuni e non caratterizzanti.
L’ambientazione della camera buia è dominata dalla luce degli schermi che proiettano da un lato e riflettono dal retro. La disposizione a S degli schermi permette una visione mutlipla ma sempre frazionaria, riflettendo una parte del corpo del visitatore ma mai il volto, e offrendone particolari non distinti, proprio come nel video.
In Lighttrain (2005) cinque schermi posti a croce seguono la giornata di un individuo di cui è visibile solo l’ombra, mediante la descrizione data dalla luce.
Il girovagare senza apparente meta attraverso periferie desolate e affollate città, riporta a quel senso di nomadismo urbano di Electric earth (1999). Il sole, prima, e l’illuminazione pubblica, poi, stagliano la sagoma su strade e muri, esaltando una completa integrazione tra l’individuo e il suo ambiente, così che questa interazione diviene il soggetto principe. L’alternarsi rapido di immagini e suoni riprende il paesaggio di Skyliner, come il tappeto per terra, che ricalca la distribuzione geometrica dei monitor, riproponendo chiaramente la scomposizione in più punti di vista.
Con questo continuo gioco di riproposizione-rielaborazione, l’opera di Doug Aitken ha acquisito compattezza, tracciando un chiaro percorso marcato da quelle pietre miliari che lo hanno condotto alla maturità artistica.
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