Cielo terso e montagne per cornice. Sullo sfondo del Parc de Sculptures, chiarissimo, l’edificio espositivo della Fondation Gianadda. Che ospita la retrospettiva in omaggio al centenario di Balthasar Klossowski, Conte de Rola, meglio conosciuto con lo pseudonimo di
Balthus (Parigi, 1908 – Rossinière, 2001). Pittore dalla personalità enigmatica e dallo stile unico, controcorrente nel panorama artistico del Novecento. Erede di
Cézanne, esplora i segreti della figurazione in un’epoca in cui questa è ignorata, rivisitando la tradizione francese (
Poussin,
Ingres,
Courbet,
Derain) e riallacciandosi ai pittori italiani del Quattrocento.
L’esposizione, curata con competenza da Jean Clair e Dominique Radrizzani, riunisce gran parte dei capolavori dell’artista. Ne ripercorre i principali periodi e temi: dai ritratti alle scene d’interni, dalle prospettive di città ai paesaggi campestri, soffermandosi sulle celebri adolescenti dal languido erotismo, che ne rappresentano il
corpus di maggior richiamo e anche il più frainteso. Il pittore, infatti, tranne che in
Leçon de guitare -dove ammette l’esibizione di una sessualità volutamente provocatoria- ha spesso contestato una facile lettura dei propri lavori. “
Cerco di restituire un carattere divino della vita e del mondo familiare”, affermava, “
tutte le mie figure femminili sono degli angeli, delle apparizioni”.
Angeli, quelle ninfette morbose dagli occhi socchiusi, le gonne svolazzanti, le ginocchia sollevate a mostrare il pube glabro? Sì, se consideriamo “angelo”, più che una figura intermedia tra Dio e l’uomo, un alter ego che ci guida nella penetrazione dei misteri dell’essere. Nei capolavori in mostra, quali
La Toilette de Cathy,
Thérèse rêvant,
Les Beaux Jours, la sensualità trasposta nelle forme scolpite dalla luce è inconsapevole. Le protagoniste, non più bambine ma neanche adulte, sono provocanti quanto più ignorano di esserlo. La metafisica inquietudine che, come sospesa, pervade quegli scorci d’intimità, si cristallizza nel magico istante – territorio dell’analisi balthusiana – in cui “
l’infanzia oscilla tra innocenza e fantasmi sessuali, tra sogno e realtà” (Sabine Rewald).
Altra icona legata a Balthus è rappresentata dal gatto, animale feticcio in cui l’artista s’ identifica. A cominciare da
Mitsou, disegnato ad appena tredici anni, fino a
Le Chat de la Méditerranée, vorace felino antropomorfo, passando per
Le Roi des chats, narcisistico autoritratto. E ancora, micio domestico, ambiguo e sprezzante scrutatore della scena domestica in
Le Salon II,
Les Poissons rouges,
Le Lever, come incarnazione del femminile (
anima junghiana), rappresenta la relazione tra il corpo e le sue sotterranee pulsioni.
La mostra propone un parallelo tra i due famosi paesaggi urbani:
La Rue e
Le Passage du Commerce-Saint-André. Il primo, denso di inquietanti simbolismi, ritrae una strada, palcoscenico di personaggi immaginari. L’artista, per la costruzione prospettica e teatrale dell’ambiente urbano, attinge a
Piero della Francesca e pone qui le basi della sua “
geometria personale”, costruita negli anni al fine di “
esprimere il mondo”. Il secondo dipinto, allegoria fra l’altro delle tre età dell’uomo, riproduce uno spazio semplificato: l’atmosfera è più dolce e luminosa, la prospettiva è frontale.
Infine, accanto al percorso antologico, un’intera sala è dedicata ai disegni. Di fattura classica, di mano nervosa e sensibile: studi di nudo, ritratti, schizzi. Straordinaria testimonianza che per Balthus, come per gli antichi maestri, il cammino del pittore non può prescindere dal disegno.