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03
dicembre 2009
fino al 24.I.2010 The Sacred Made Real London, The National Gallery
around
Niente marmi, bronzi o nomi altisonanti del Rinascimento o del Barocco internazionale quest’autunno alla National Gallery. Ma il tormento e l’estasi della fede più vera. In un documento unico...
Pose angolose, corpi esangui
devastati da ferite di allucinante realismo: decisamente The Sacred Made
Real: Spanish Painting and Sculpture 1600–1700 non è per i deboli di stomaco.
Poche le opere in mostra: solo
sedici dipinti dell’epoca d’oro della pittura spagnola, esibiti per la prima
volta accanto ad altrettante sculture policrome contemporanee. Perché se i nomi
di Diego Velázquez, Jusepe de Ribera e Francisco de Zurbarán sono famosi ovunque al di fuori
della Spagna, lo stesso non si può dire degli autori delle iperrealistiche
sculture policrome che li hanno ispirati: Juan Martínez Montañes, Juan de
Mesa e Pedro
de Mena.
Il pubblico si muove in punta di
piedi nel seminterrato della National Gallery, tra le sculture sapientemente
illuminate, come in una chiesa. Mancano solo le candele e l’incenso. Ma anche
senza di essi, l’odore che si respira negli spazi in penombra della Sainbury
Wing è quello di santità e misticismo fatto materia.
E questa materia è il legno. Come
quello con cui è realizzato il Cristo sulla croce (1617) di Juan Martínez
Montañes, esposto
accanto all’imponente Crocifissione (1627) di Zurbarán. E come nella scultura, anche sulla tela il corpo
del Cristo crocefisso emerge dall’oscurità nello spazio dell’osservatore,
spogliato d’ogni dettaglio narrativo. Immagine o scultura? Come Montañes, anche
Zurbarán porta l’iperrealismo a un nuovo livello: dimostrare che esiste uno
stretto dialogo tra pittori e scultori.
A differenza dell’Italia, dove la
fine del Concilio di Trento impone una severa disciplina alla rappresentazione delle
immagini sacre, in Spagna – fatta eccezione per i ritratti degli aristocratici
– l’arte della Controriforma è fondamentalmente religiosa. Un’arte in cui le
figure del Cristo e dei santi sono rappresentate sanguinanti e sofferenti, e il
cui sconcertante realismo è fatto per muovere e commuovere, ispirare pietas e devozione.
Perché, oggi come ieri, per coloro
che vi si inginocchiavano davanti nelle chiese o che le seguivano durante le
processioni de la Semana Santa e che ancora lo fanno, queste non sono opere d’arte (o
perlomeno non solo), ma immagini vere di persone vere con veri poteri
miracolosi. E il corpo abbandonato del Cristo morto (1625–30) di Gregorio
Fernández – gli
occhi socchiusi, vitrei di morte, ombreggiati da ciglia di crine, le mani
affusolate, la bocca socchiusa dai denti di avorio – è così incredibilmente
reale che a stento si domina l’impulso di gettarsi in ginocchio battendosi il
petto esclamando “mea culpa”…
Qui non c’è posto per il dibattito
tra classicismo e barocco: ispirati dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, gli
artisti spagnoli producono un’arte di straordinario fervore il cui scopo non è
appagare il gusto estetico di qualche ricco collezionista, ma scuotere la
sensibilità umana, emozionare, commuovere. E il risultato sono sculture che
saltano a piè pari il Rinascimento per attingere a piene mani alla fonte del
Gotico nordeuropeo, che tanta influenza ha nella Spagna asburgica del secolo
d’oro.
E bisogna ammirare il coraggio del
curatore Xavier Bray per aver dato vita a una mostra come questa. Perché The
Sacred Made Real
è allo stesso tempo una sfida alla nozione generale di “buon gusto” e un invito
al pubblico a superare pregiudizi secolari sulla scultura policroma. E una
volta dimenticato il crudo realismo delle ferite, l’anatomia michelangiolesca
di questi corpi emerge in tutta la sua potenza. E la bellezza è tanta che quasi
si grida al miracolo.
devastati da ferite di allucinante realismo: decisamente The Sacred Made
Real: Spanish Painting and Sculpture 1600–1700 non è per i deboli di stomaco.
Poche le opere in mostra: solo
sedici dipinti dell’epoca d’oro della pittura spagnola, esibiti per la prima
volta accanto ad altrettante sculture policrome contemporanee. Perché se i nomi
di Diego Velázquez, Jusepe de Ribera e Francisco de Zurbarán sono famosi ovunque al di fuori
della Spagna, lo stesso non si può dire degli autori delle iperrealistiche
sculture policrome che li hanno ispirati: Juan Martínez Montañes, Juan de
Mesa e Pedro
de Mena.
Il pubblico si muove in punta di
piedi nel seminterrato della National Gallery, tra le sculture sapientemente
illuminate, come in una chiesa. Mancano solo le candele e l’incenso. Ma anche
senza di essi, l’odore che si respira negli spazi in penombra della Sainbury
Wing è quello di santità e misticismo fatto materia.
E questa materia è il legno. Come
quello con cui è realizzato il Cristo sulla croce (1617) di Juan Martínez
Montañes, esposto
accanto all’imponente Crocifissione (1627) di Zurbarán. E come nella scultura, anche sulla tela il corpo
del Cristo crocefisso emerge dall’oscurità nello spazio dell’osservatore,
spogliato d’ogni dettaglio narrativo. Immagine o scultura? Come Montañes, anche
Zurbarán porta l’iperrealismo a un nuovo livello: dimostrare che esiste uno
stretto dialogo tra pittori e scultori.
A differenza dell’Italia, dove la
fine del Concilio di Trento impone una severa disciplina alla rappresentazione delle
immagini sacre, in Spagna – fatta eccezione per i ritratti degli aristocratici
– l’arte della Controriforma è fondamentalmente religiosa. Un’arte in cui le
figure del Cristo e dei santi sono rappresentate sanguinanti e sofferenti, e il
cui sconcertante realismo è fatto per muovere e commuovere, ispirare pietas e devozione.
Perché, oggi come ieri, per coloro
che vi si inginocchiavano davanti nelle chiese o che le seguivano durante le
processioni de la Semana Santa e che ancora lo fanno, queste non sono opere d’arte (o
perlomeno non solo), ma immagini vere di persone vere con veri poteri
miracolosi. E il corpo abbandonato del Cristo morto (1625–30) di Gregorio
Fernández – gli
occhi socchiusi, vitrei di morte, ombreggiati da ciglia di crine, le mani
affusolate, la bocca socchiusa dai denti di avorio – è così incredibilmente
reale che a stento si domina l’impulso di gettarsi in ginocchio battendosi il
petto esclamando “mea culpa”…
Qui non c’è posto per il dibattito
tra classicismo e barocco: ispirati dagli Esercizi spirituali di Sant’Ignazio di Loyola, gli
artisti spagnoli producono un’arte di straordinario fervore il cui scopo non è
appagare il gusto estetico di qualche ricco collezionista, ma scuotere la
sensibilità umana, emozionare, commuovere. E il risultato sono sculture che
saltano a piè pari il Rinascimento per attingere a piene mani alla fonte del
Gotico nordeuropeo, che tanta influenza ha nella Spagna asburgica del secolo
d’oro.
E bisogna ammirare il coraggio del
curatore Xavier Bray per aver dato vita a una mostra come questa. Perché The
Sacred Made Real
è allo stesso tempo una sfida alla nozione generale di “buon gusto” e un invito
al pubblico a superare pregiudizi secolari sulla scultura policroma. E una
volta dimenticato il crudo realismo delle ferite, l’anatomia michelangiolesca
di questi corpi emerge in tutta la sua potenza. E la bellezza è tanta che quasi
si grida al miracolo.
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mostra visitata il 3 novembre 2009
dal 21 ottobre al 24 gennaio
2010
The Sacred Made Real: Spanish
Painting and Sculpture 1600-1700
a cura di Xavier Bray
The
National Gallery
Trafalgar Square – WC2N 5DN London
Orario: tutti i giorni ore 10-18; mercoledì ore 10-21
Ingresso: intero £ 8; ridotto £ 7/4
Catalogo £ 19,99
Info: tel. +44 02077472885; fax: +44 02077472423; information@ng-london.org.uk; www.nationalgallery.org.uk
[exibart]