Corre l’anno 1908 quando
Jacob
Epstein scandalizza Londra con i suoi nudi scolpiti sulla facciata della British
Medical Association. Ma la pubblicità, anche se negativa, è pur sempre
pubblicità (ne sa qualcosa
Damien Hirst) e lo scandalo gli porta, nel 1912, la commissione
per la monumentale tomba di Oscar Wilde al cimitero Père Lachaise di Parigi.
Quando arriva a Londra da New York
nel 1905, Epstein è ancora uno strano mix di classicismo rinascimentale e
fluido naturalismo rodiniano. Ed è a questo punto che incontra
Eric Gill. I due non potrebbero essere più
diversi. Figlio di un curato di Brighton che studia per diventare architetto,
Gill è affascinato dall’arte indiana e scolpisce opere sessualmente esplicite,
ispirate ai bassorilievi dei templi indù (prima che la sua ossessione per il
cattolicesimo lo porti a convertirsi, a fondare una setta e a rompere ogni
rapporto con Epstein).
Gill convince Epstein ad
abbandonare il modello artistico occidentale e a cercare ispirazione nell’arte
assiro-babilonese, visibile al British Museum.
Epstein lo ascolta e il
risultato è la figura alata (demone o angelo?) della tomba di Oscar Wilde.
Ossessionati da temi come
virilità, fertilità e procreazione, Epstein e Gill condividono il desiderio
iconoclasta di ritornare alla purezza espressiva della scultura preistorica,
liberando la scultura britannica dall’ignoranza in cui l’accademismo vittoriano
l’ha precipitata.
Tale desiderio è condiviso anche
da
Gaudier-Brzeska.
Nato ad Orléans, approda a Londra nel 1911, in fuga da Parigi e dal servizio
militare, con la sua compagna, l’eccentrica scrittrice polacca Sophie Brzeska,
di vent’anni più vecchia, di cui adotta il cognome. Gaudier sbarca il lunario
creando poster, ceramiche e sculture per l’
Omega workshops di
Roger Fry. Ma, quando visita Epstein nel
suo studio (dove vede la tomba di Oscar Wilde), decide che la sua strada è la
scultura. Ovviamente d’avanguardia.
Con
Wild Thing: Epstein,
Gaudier-Brzeska, Gill la Royal Academy
esplora il breve momento che ha cambiato la storia
dell’arte inglese. Perché l’arte moderna non nasce con
Henry Moore e
Barbara Hepworth,
ma col nuovo linguaggio, a metà
fra naturalismo e astrazione, di questi tre artisti.
Tre artisti, tre sale.
Provocatorio e incredibilmente esplicito nei suoi bassorilievi come nelle sue
iscrizioni, Gill produce sculture dalle linee allungate e fluide di sapore
quasi bizantino. Una donna vestita solo di una collana dorata emerge dalla
pietra bianca: è
A Roland for an Oliver/Joie de Vivre (1910).
Sorride enigmatica,
mostrando orgogliosa i genitali. E nella puritanissima epoca edoardiana si
grida allo scandalo.
Ma questo è solo l’inizio. Nello
stesso anno in cui
Duchamp crea il suo primo ready made, Epstein incorpora un
trapano pneumatico nella scultura in gesso di un androide asessuato che sembra
uscito da
Guerre Stellari. La critica non apprezza e definisce
Rock Drill rivoltante e inappropriata. E,
alla vigilia della carneficina della Prima Guerra Mondiale, persino Epstein è
d’accordo. E smantella la scultura (quella in mostra è una ricostruzione del
1974), lasciando ai posteri una versione “epurata” in bronzo (1913-14).
Precoce e dotato di un incredibile
talento, Gaudier-Brzeska trova la sua visione personale nel Vorticismo di
Wyndham
Lewis ed
Ezra
Pound. Ma né
Lewis né gli altri hanno il suo stesso coraggio: arruolatosi nell’esercito nel
1914, Gaudier muore in battaglia nel 1915 a soli ventitre anni. E guardando la
gioiosa energia di
Red stone dancer possiamo solo fantasticare su quello che avrebbe potuto
essere di lui se fosse vissuto.
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