Blocchi di ferro plumbeo inghirlandati con pezzi di carbone s’incrociano e scontrano davanti ai nostri passi in un percorso espositivo labirintico, che sembra guidare la casualità dei movimenti fra la “materia” più consueta del lavoro di
Jannis Kounellis (Pireo, 1936; vive a Roma). Il labirinto riporta alla leggendaria struttura architettonica del re Minosse a Creta e cerca, con non poca fatica, di fondersi con le alte vetrate della Neue Nationalgalerie, proponendo un gioco di scatole cinesi in cui il serpeggiante percorso espositivo diventa esso stesso opera d’arte. Il legame tra spazio interno e spazio esterno, da sempre tema fondamentale nella ricerca dell’artista, dona alle opere appoggiate, appese, nascoste e dimenticate nel labirinto nuove correlazioni artistiche. Come spiega l’artista stesso, “
ora, per molti anni, la mia principale ricerca sarà la metamorfosi”.
Una metamorfosi nata da contrasti concettuali e materiali, in una dimensione spaziale anch’essa fortemente ambigua, in cui le sostanze classiche dell’artista riemergono dalla loro abituale locazione grazie ai sensi dello spettatore, in un processo di rinascita armonica collettiva. Siamo inebriati e affascinati in presenza di tanta natura polimorfa, espressione di energia e autenticità passata, legata a materiali che respirano e vivono, come il legno o il caffé.
In
Senza Titolo (1969) il familiare sacco di juta viene colmato da varie semenze naturali apportatrici di differenti qualità olfattive, accentuando la tensione sensoriale tra opera e fruitore. Ma i sensi vengono nuovamente ghermiti dalla sala successiva, in cui la durezza del mattone grezzo, nella sua strutturazione sostanziale, si staglia contro il levigato minimalismo del greve ferro in
Senza Titolo del 2007, una delle ultime opere dell’artista greco-romano.
In una continua ricerca all’interno del grigio dedalo veniamo inconsciamente manovrati verso la parte esterna dell’esposizione, dedicata alle opere di dimensioni più grandi che sfruttano le ampie pareti trasparenti della Nationalgalerie dilatando, attraverso le qualità della materia, un arco temporale che unisce passato e presente, tradizione e modernità.
Una sorta di opposizione tra consistenze organiche e inorganiche, che sfocia in un’unità poetica semplicemente povera, riassumendo il raffinato dialogo tra forma e sensibilità.