No, non è solo una questione di sesso. Da
Les fleurs du mal di Charles Baudelaire al premiatissimo film
American Beauty di Sam Mendes, l’opera di
Casaluce-Geiger, che fa anche da immagine-manifesto alla mostra collettiva
Männer II, ha davvero somiglianze di famiglia con titoli, affiche e atmosfere della produzione poetica moderna e contemporanea.
In questo suo lavoro – una foto digitale della serie
Adam & Adam – spicca un bel mazzetto di rose rosse a coprire il sesso di un giovane del quale si mostra il ventre e parte delle gambe: un taglio che esibisce un corpo maschile simile a un frammento antico recuperato dopo secoli o millenni. Il passato e il presente. È esattamente la fusione degli orizzonti temporali a fornire una delle chiavi di accesso a quest’opera e all’intera esposizione.
Titolo secco, dunque,
ontologically correct, ispirato al soggetto artistico per eccellenza: l’uomo, nel senso di
maschio, il sesso forte. Forte? Come nella celebre raccolta di poesie di Baudelaire in cui all’uomo – il poeta stesso – tocca l’insopportabile discesa nell’inferno della vita, o nel film di Mendes, a cui spetta il delirio della depressione, anche all’uomo dimezzato e senza identità di Casaluce-Geiger tocca un destino tutt’altro che eroico. Vive e si fa scudo di una bellezza de-localizzata in un mazzo di rose: vanità e
vanitas, a cui si sovrappone un indecifrabile codice alfanumerico, a indicare un senso d’incomunicabilità.
Una seconda opera della stessa artista – sempre dalla serie
Adam & Adam – inscena, in una soffusa atmosfera di armonie musicali, una doppia nudità la cui matrice maschile pone, ambiguamente, qualche problema di identificazione.
Altrove, l’elegante e misurata plasticità di nudi maschili di gruppo, corpi classici nella loro forma e moderni nell’espressione dinamica, ben sagomati dal forte chiaroscuro fotografico su sfondo nero, si rivela essere l’esito scenografico di un’accurata regia femminile alla
Leni Riefenstahl. La serie fotografica è di
Ilse Haider.
Ed
Elke Krystufek, con un piccolo escamotage tutto femminile, utilizza la pittura come sorta di tessitura. Le basta eseguire il ritratto di un uomo – è Kim Fowley – su un evocativo ritaglio di lenzuolo per far trasparire sul retro la stessa immagine e far guadagnare alla figura una permanente penetrazione nella profondità della materia/memoria.
Una quarantina di opere, venticinque artisti, molti giovani e qualche nome ormai storico, come
Hermann Nitsch con testimonianze fotografiche dei suoi catartici rituali sanguinolenti, o
Anton Kolig con schizzi a matita di nudo da atelier – risalenti al 1920 – che, nella loro incerta definizione, in questo contesto fanno dell’uomo un soggetto appena decifrabile. O ancora
Fritz Wotruba con una sculturina che rimanda a una dimensione arcaica e rituale della sessualità, e
Arnulf Rainer che si esprime mediante un registro totalmente astratto.
Insomma, con molti richiami a narrazioni mitiche,
Ecce Homo: sciamano, demone, mostro nelle suggestioni arcaiche di
Elisabeth von Samsonow; fauno con
Franz Graf e
Christy Astuy; soggetto esemplare o semplice totem fallico con
Karl Spörk; materia da plasmare in simbiosi col
femminile con
Jakob Gasteiger & Sandra Nalepka.
Carne viva da contemplare o lacerare. Carne pietrificata dell’artista che serra nei pugni, oltre la veglia o oltre la vita, i suoi eterni arnesi di lavoro, con
Fabian Fink.