Il monumentale complesso dell’Istanbul Modern, fulcro dell’arte contemporanea turca, è collocato in una posizione intrigante: dalle finestre del bianco prefabbricato si può osservare il Bosforo, ghiacciato mare tra Europa e Asia. Una scelta non casuale: la posizione fisica del museo rispecchia anche uno stato concettuale, una collocazione fra Oriente e Occidente che condiziona e stimola tutte le produzioni artistiche turche.
È in questa duplice ottica che
Human Conditions riesce a parlare da due diverse prospettive. Da una parte, il titolo della mostra fa appello a una condizione generale degli esseri umani, ponte sospeso fra due ignoti, nascita (il passato, le tradizioni) e morte. Dall’altra, la rassegna è irriducibilmente turca: nel caso della carrellata in bianco e nero di
Yilmaz Dernek ed
Ergün Turan, soprattutto, è Istanbul a diventare lo snodo del discorso fotografico, benché la città quasi scompaia.
La sua pronunciata mancanza fa intuire che è proprio della metropoli che inevitabilmente parlano i passanti, fermati per strada per essere immortalati.
Passing information to the future è infatti il risultato di quattro anni di ricerca per le vie di Istanbul, in cui i fotografi hanno cercato volti significativi in tutti i quartieri e gli strati sociali di una megalopoli (l’antica Bisanzio è la città più grande d’Europa) che si sta velocemente trasformando. Il futuro manterrà un ricordo fedele della Istanbul dei primi anni del nuovo millennio grazie ai suoi cittadini: nelle rughe dei loro volti, negli abbigliamenti aderenti, nelle scollati oppure lunghi e monocolore è possibile leggere il momento cruciale che sta attraversando questa nazione.
Di fronte a questa serie si schierano le altrettanto energiche foto di
To play Possum, realizzate da
Sitki Kösemen. L’artista ha chiesto a coloro che incontrava di piombare a terra, interpretando la propria morte. Un gioco a cui i protagonisti degli scatti hanno partecipato con curiosità e interesse. E malgrado il chiaro riferimento all’universalità del tema, non manca l’appello alle morti causate dalle guerre inter-religiose e alla loro amplificazione nei discorsi mediatici.
I passanti di Istanbul sembrano però molto più distanti di quelli che fingono di esser morti nelle foto di Kösemen. Infatti, mentre nei lavori di Dernek e Turan si parla di un attimo infinito che sembra essere già trascorso, i personaggi di Kösemen possiedono la vitalità di ciò che è letteralmente con-temporaneo: sono muratori e casalinghe strappati per un istante al loro quotidiano, cui sembrano voler tornare con veemenza. Le figure di Dernek e Turan paiono invece fantasmi che strisciano sui muri della città quasi per caso, come se l’avessero già abbandonata. Sono già ricordo del presente.
Sembra così di entrare in quel “
sotterraneo di manichini” di cui parla Orhan Pamuk in
Libro nero. In questo caso si tratta però di un sotterraneo rovesciato: nelle foto, i soggetti si lasciano dolcemente trascinare dal flusso del tempo, senza opporre resistenza o criticità.