Il ricamo, si sa, è il lavoro femminile per eccellenza. Quello che, nell’immaginario collettivo, richiama la sfera domestica, sommessa e sottomessa, in cui una donna, madre di famiglia, deve aspettare, coccolare e abbracciare. E non è un caso che l’artista egiziana Ghada Amer (Il Cairo, 1963), figlia adottiva di New York, abbia eletto ago e filo a mezzo espressivo privilegiato per la sua indagine artistica. Non come simbolo cui inneggiare, non come modello femminile cui richiamarsi, al contrario. Il ricamo viene visto dalla Amer come prigione scomoda, quella di una donna costretta dalla società ad un ruolo di pacata sottomissione. Un gioco di ruoli tra femmina e maschio da cui – secondo l’artista- è assolutamente necessario liberarsi, attraverso una riflessione ideologica di chiara impronta femminista.
Le tele esposte nel luminosissimo spazio della Gagosian di Chelsea trasudano al contempo emotività estetica e ideologia subliminale. L’impatto visivo è emotivamente garantito dall’intarsio di fili capricciosi che corrono, si sfilacciano e sgocciolano sulla tela bianca. Una colata continua e sottile che sottopone l’occhio ad un’ineludibile attrazione. Un’attrazione che è al contempo una sfida. Lo sguardo è costretto a lavorare, a sforzarsi, per passare da una prima visione d’insieme, in cui appare solo una matassa indistinta di fili senza meta, ad una messa a fuoco più mirata di quello che emerge da questo caos primordiale, alle sue figure nascoste. Si deve evolvere da un primo impatto estetico tanto vicino all’Action Painting americana degli anni ’50, ad un’interpretazione visiva e mentale di tutt’altra caratura. A ciò che appare districando con lo sguardo le matasse di fili sulla tela. Ora appare la donna. E appare l’ideologia. Quella femminista, della scuola più classica, assorbita dall’artista da letture e riflessioni culturali occidentali ed orientali. Appaiono figure femminili colte in pose di evidente piacere auto-erotico, di provocazione maliziosa, di abbandono sensuale, tratte dall’immaginario pornografico occidentale.
Il tutto per mostrare come la donna sia da sempre considerata solo, o principalmente, un oggetto di desiderio erotico da parte dell’uomo. La banalità scontata dal punto di vista intellettuale, viene in gran parte esorcizzata sul piano strettamente artistico. La traduzione di questo pensiero va infatti molto al di là del femminismo spiccio: l’intuizione della Amer sta nella sua capacità di velare e svelare, mostrare e scoprire, alludere e negare. Con un elegante gioco di fili che formano una trama continua, una griglia solo apparentemente confusa di giochi colorati. La sua abilità sta nel sublimare la pornografia della donna-oggetto in un insieme visivo (presentato su tele di grandi dimensioni) che tratta le fantasie sessuali come una fiaba, come un sogno, come un ricordo. Come qualcosa che non turba, ma non per questo è meno sbagliato.
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