Epistrofe, per chi non lo sapesse, è una figura retorica consistente nel rinforzare un concetto attraverso la ripetizione di una medesima parola alla fine di versi successivi: d’impiego comune nella poesia, gli artisti si sono ingegnati a trasporne meccanica ed effetti nei campi più diversi (una celebre composizione di Thelonius Monk s’intitola, per l’appunto,
Epistrophy). Da questo punto di vista, l’operazione effettuata nell’elegante galleria Schleicher+Lange da
Timo Nasseri (Berlino, 1972) può essere decrittata come l’intensificazione di un singolo elemento formale attraverso la sua ripetizione nello spazio, bidimensionale o tridimensionale che sia, vista la somma di opere scultoree e disegni in mostra.
Nello specifico, tale elemento è la
muqarna, un ornamento di largo impiego nell’architettura tradizionale islamica: di fatto, nel suo presentarsi come una nicchia dalle forme geometriche ricombinabili virtualmente senza fine, la muqarna volumetrizza il vuoto e insieme scandisce lo spazio, prestandosi tanto a raffinate variazioni decorative quanto a più tangenti riflessioni sull’infinito (sull’eventuale divino riconosciamo di non essere i più qualificati a pronunciarci). È questo con ogni probabilità l’intento dell’artista, non nuovo del resto a simili operazioni di sottile ambiguità, posto che un suo precedente progetto,
Falling Stars, era incentrato sulla materializzazione scultorea di scritte in lingua farsi, celando sotto la fluidità del tratto calligrafico contenuti controversi come nomi di missili o di uomini politici.
Nasseri incastona dunque dentro il muro principale dello spazio espositivo una muqarna di grandi dimensioni, realizzata in acciaio lucidato, che rifrange e scompone le immagini circostanti, a partire da quelle dei piccoli calchi in gesso del volume interno di altre muqarna. Simili forme del vuoto, disposte su esili colonne di legno e combinate ai delicati disegni a inchiostro bianco su carta nera appesi alle pareti (i progetti delle diverse strutture solide presentate dall’artista), trasformano l’interno elegantemente scabro della galleria in un densissimo spazio mentale, e nel fare ciò aprono il varco a riflessioni di certa attualità sui rapporti fra astrazione e decorazione da un lato, tradizioni culturali e apolidi contemporaneità dall’altro (non a caso, una muqarna specchiante di Nasseri fa bella mostra di sé nella collettiva in corso al Mart di Rovereto,
EurAsia. Dissolvenze geografiche dell’arte).
Con ogni evidenza non ci sono risposte definite, e del resto il fascino di una simile mostra sta proprio nel suo muoversi leggera tra suggestioni e interrogativi senza definire, piuttosto acutamente riflettendo la posizione dell’osservatore, in un gioco ininterrotto di specchi e riflessioni.