Centotrentasei foto in bianco e nero, ognuna corredata da un breve commento dell’autrice. Immagini su cui lo sguardo non può scorrere veloce, che raccontano l’America degli anni ‘30 e ‘40, due decadi marcate dalla gran depressione e dal secondo conflitto mondiale.
Gli esordi di
Dorothea Lange (Hoboken, 1895 – San Francisco, 1965) risalgono al 1918, quando inizia a lavorare confezionando ritratti per una clientela borghese; successivamente, sempre a San Francisco, in un momento in cui la crisi avanza, decide di passare dal chiuso del suo studio alla strada. In questa fase, dopo aver imparato a lavorare sulla vanità e su quanto le persone di fronte all’obiettivo tendano a nascondere la propria natura, non le sfuggono le code dei disoccupati di
Skid Row, gli uomini che passano le loro giornate vagabondando, le manifestazioni di protesta e le file d’indigenti che, con la gavetta vuota fra le mani, provano a risollevarsi con un pasto caldo.
A metà degli anni ‘30 intraprende, insieme al marito economista, un lavoro sul campo per documentare le dure condizioni di vita dei contadini disoccupati della California, i
problemi di siccità estrema, le tempeste di sabbia, la progressiva meccanizzazione del lavoro nei campi e, di conseguenza, la crescente migrazione dei braccianti. Questo studio confluirà in un libro uscito nel 1939 e intitolato
An American Exodus. A record of Human Erosion. Nello stesso anno, con queste immagini sulla retina, Steinbeck pubblica
Furore.
Nel 1937 è direttamente la Farm Security Administration a patrocinare il progetto, dedicato a ritrarre in maniera più estesa la complessa situazione rurale. Come se i politici, disorientati e distanti dalla drammatica situazione in cui versava il Paese, avessero urgente bisogno – per gestire la crisi e uscire dalla stasi – di vedere “semplificata per parti” la storia di quelle persone. Grazie alla testimonianza raccolta da Lange conosciamo la storia di Florence Owens, madre di sette figli a 32 anni e già vedova: l’immagine della profonda dignità racchiusa nello sguardo di questa donna illustra molteplici riviste popolari, infondendo un esemplare messaggio di forza e resistenza.
E così Dorothea percorre centinaia di chilometri su strade polverose, dove incontra gente errante che vive in baracche e vende perfino le ruote dell’auto per sfamare i figli, sporchi e cenciosi. Il volto bruciato dal sole dei loro padri incornicia uno sguardo interrogativo, perso nel vuoto, ma pur sempre di persona forte.
In questa mostra si possono rivedere anche le foto della
War Relocation Authority, in cui viene raccontato l’allontanamento forzato della comunità nippo-americana, che iniziò a seguito dell’attacco di Pearl Harbour. Si trattava di famiglie di americani d’origine giapponese, residenti negli Usa da varie generazioni, che vennero evacuate dalle proprie case, etichettate e ghettizzate all’interno di campi di concentramento.
Lange si sofferma così in maniera delicata ma efficace sul tema della famiglia come metafora universale dell’esperienza umana.