Non può che stupire la personale di David Hockney, in calendario al Louisiana Museum of Contemporary Art fino al 27 gennaio 2002. La mostra si presenta come la più completa raccolta di dipinti di Hokney finora allestita in Scandinavia, e vanta la collaborazione della Kunst – und Ausstellungshalle di Bonn, nonché prestiti provenienti dalle collezioni di tutto il mondo. Splendidamente e magistralmente documentata, anche grazie al supporto di ben 3 filmati (A Bigger Splash, 1974, 105 min., mercoledì alle 20.00 e sabato alle 15.00; David Hockney alla Tate Gallery, 1988, 51 min., ogni giorno 12.30/15.30; David Hockney 1999, 51 min., ogni giorno 11.00/14.00), la mostra è un gigantesco affresco di tutta la produzione di Hockney durante 4 decenni di attività artistica. Sebbene lo scopo della mostra non sia dichiaratamente un percorso cronologico attraverso le varie fasi creative del pittore britannico, la scelta delle opere esposte offre suo malgrado una quanto mai completa e dettagliata panoramica dello sviluppo tematico e tecnico-espressivo dell’universo hokneyano, che viene presentato in modo coerente e conseguente: dalle primissime opere, in cui l’omosessualità dichiarata è pretesto per disinibite e allo stesso tempo tenere rappresentazioni amorose, si passa alle superfici immobili e piatte della California holliwoodiana, con le sue ville semidisabitate, le oasi delle piscine popolate di nudi maschili, fino ai collages degli anni ’80 e ai loro estremi risultati degli anni più recenti.
Il cuore del percorso espositivo – e quello che maggiormente riscuote successo di pubblico – è senz’altro la sala che ospita gli enormi pannelli che hanno per soggetto il Grand Canyon – uno studio grandioso della prospettiva alla luce del rapporto fra l’obiettivo fotografico, l’occhio umano, e la presenza dell’osservatore come attore e parte integrante del dipinto. A Bigger Grand Canyon (1998), composto da molteplici tele, dove movimento, distanza e vicinanza frammentano l’immagine in altrettanti punti di vista, accoglie il visitatore e lo sovrasta estendendosi su un’intera parete, mentre i colori vivi e caldi stordiscono e inebriano nella loro esuberanza.
“This is not a picture of Grand Canyon – This is a picture of looking at the Grand Canyon”. Con queste parole lo stesso Hockney riassume il frutto delle sue speculazioni sull’esperienza del vedere e del veduto: una combinazione di luce, distanza, e influenza di agenti esterni, che destruttura l’oggetto della visione in frammenti contigui. Per comunicare visivamente questa esperienza Hockney sceglie, negli anni ’80, di lavorare con l’obiettivo fotografico e con la tecnica del collage, realizzando opere geniali dalle molteplici sfaccettature – le mille frazioni che compongono l’unità. Tecnicamente il risultato ricorda il cubismo, con un vago eco di pop art alla Andy Wharol (fin troppo facile il confronto sulla base di una comune scelta sessuale e di un condiviso anticonformismo), ma nella sua incessante sperimentazione Hockney raffina la sua tecnica e la applica ai soggetti più diversi: Van Gogh’s chair, 1988, Gaugain’s Chair, 1988, A walk around the Hotel Courtyard, 1985. Affascinante anche lo studio della prospettiva nei paesaggi più recenti (Garrowby Hill, 1998,Going up Garrowby Hill, 2000) , nei quali lo spettatore viene letteralmente risucchiato grazie ad un continuo muoversi del punto di fuga. Insolito e stupefacente anche l’uso disinibito di colori tanto vivi e brillanti nella trattazione un soggetto quale il paesaggio rurale dello Yorkshire.
Se nel corso dei decenni Hockney ha sperimentato diverse tecniche espressive con risultati sorprendentemente diversi e sempre nuovi, la scelta tematica rimane sempre profondamente autobiografica, dove anticonformismo, un’autoironia tutta inglese – che la permanenza negli States non ha potuto corrompere -, genio espressivo e sperimentale costituiscono il cuore e l’anima del processo creativo.
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A. V.
(mostra visitata il 27 ottobre 2001)
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