Aprite un libro, scrivete una mail, alzate gli occhi su un cartellone pubblicitario, semplicemente continuate a leggere questo testo: cosa vedete? La risposta che qui c’interessa è: caratteri tipografici. Onnipresenti e inavvertiti, diffusissimi e molteplici (si stima che, a oggi, ne esistano almeno 50mila tipi diversi), combinano in sé tecnica e arte con discreta autorevolezza.
La mostra presso la Biblioteca Nacional di Madrid rappresenta dunque un tentativo encomiabile d’illuminare i molteplici rapporti intercorrenti fra arte e tipografia. L’impianto espositivo, va detto, è di carattere didattico, retto dall’accostamento di preziosi libri antichi con riproduzioni fotografiche di pittura e grafica del Novecento -da
Balla a
Basquiat– in cui i caratteri si ritrovano ora al centro dell’opera (vedi le amorosità pop di
Robert Indiana o il celebre dollaro di
Andy Warhol), ora fra le sue trame: esemplificativa, a questo proposito, è l’interazione fra tratto e segno tipica di
Paul Klee.
A causa della natura per così dire divulgativa della rassegna, la più complessa questione della natura di per sé artistica della creazione di caratteri tipografici resta purtroppo sullo sfondo. Del resto, viene da annotare, neppure la sontuosa esposizione in corso al Mart,
La parola nell’arte, sembra essersi presa maggior cura al riguardo, riconoscendo agli elementi tipografici presenti nei lavori in mostra una mera funzione di lettering,
senza tener conto di quanto esteticamente condizionante -tanto più in fenomeni anche letterari come dada o il futurismo- possa esser stato il disegno dei caratteri impiegati.
La straordinaria creatività e sensibilità artistica propria di tanti disegnatori rimane così dai più inavvertita. Sia allora consentito ricordare almeno l’opera di
Stanley Morison (autore dell’ubiquo
Times New Roman),
Peter Behrens (a buon titolo, primo industrial designer della storia) o
Hermann Zapf, cui si devono alcuni dei caratteri più riusciti di ogni tempo (il
Palatino, l’
Optima, fino al più recente
Zapfino), oltre a un lavoro assai fecondo di applicazione dell’elettronica alla tipografia. Quanto all’Italia, la produzione meglio rappresentata nella mostra spagnola è la classica, espressa nei libri stampati con i caratteri di
Aldo Manuzio e
Gianbattista Bodoni (ma spiace l’esclusione di un grande del Novecento come
Giovanni Mardersteig).
Ci rendiamo conto che una simile carrellata di nomi può lasciare il tempo che trova. Essa, nondimeno, vuole solo servire da spunto per avvicinare chi legge a tali nomi, indotto a contemplare più da presso la bellezza sviluppata nelle minute misure e forme di quella “scrittura idealizzata” che è la tipografia. L’arte, per ricorrere a una felice espressione di
Robert Bringhurst, “di fornire il linguaggio umano di una sua forma visiva durevole, e dunque di una esistenza indipendente”.