Di qualche anno più grande della generazione degli Young British Artists che quindici anni fa avevano fatto declamare alla stampa che la pittura era morta,
Peter Doig (Edimburgo, 1959; vive a Trinidad) è da sempre un outsider. Un padre irrequieto costretto per lavoro a spostarsi spesso e un’infanzia vagabonda tra la Gran Bretagna, il Canada e Trinidad sono gli ingredienti che formano i suoi dipinti. Forse proprio il bisogno di trattenere brani di memoria lo rende un insaziabile raccoglitore di immagini: fotografie, ritagli di giornali e cartoline dove appaiono brandelli di stranezza. Il suo lavoro rappresenta il miracolo della quotidianità, a cui la pittura conferisce la leggerezza del sogno.
La mostra esplora il progressivo svilupparsi della sua tecnica e l’imprevedibile evoluzione dei suoi soggetti. La retrospettiva, che copre vent’anni di attività e che include anche un significativo gruppo di dipinti creati negli ultimi cinque anni di permanenza a Trinidad e mai esibiti nel Regno Unito prima d’ora, comincia con i lavori prodotti al tempo della Chelsea School of Art, tra il 1989 e il 1990.
Attratto da soggetti modesti, Doig dipinge paesaggi a olio di disarmante romanticismo. In
Swamped (1990), l’immobilità degli elementi e il contrasto con ciò che li circonda costituisce un motivo ricorrente. Le canoe sono diventate un’immagine seminale del suo lavoro: il loro riflesso nell’acqua sembra rappresentare la parte sconosciuta che ci appartiene. Ciò che ne risulta è un’atmosfera in bilico tra racconto e astrazione, che tuttavia non perde mai di vista la relazione con il mondo reale.
La serie
Concrete cabins ha come tema un edificio abbandonato a Briey-en-Forêt. Creato da Le Corbusier nel 1961 come unità d’abitazioni, è ormai quasi completamente disabitato. Nei grandi dipinti di Doig, l’architettura appare lattea tra la fitta vegetazione. Inaspettata, ci sorprende con la sua improvvisa fisicità. Ed è proprio questa fisicità, ormai data per scontata negli elementi urbani, a caricare l’architettura di un sentimento unico.
In momenti diversi della sua carriera, Doig cerca di liberare la propria tecnica dalla base fotografica. E lo fa cercando nuovi soggetti. Gli sport invernali e i laghi ghiacciati del Canada lo portano a creare scene dall’atmosfera sognante. Carico di domande senza risposta, l’adolescente solitario di
Blotter (1993) cattura l’occhio in modo quasi ipnotico.
Al di là della freschezza compositiva, i dipinti e i disegni esposti nella quinta sala mostrano che la composizione delle tele di grandi dimensioni è spesso preceduta da un numero cospicuo di studi e schizzi in cui Doig può sperimentare più liberamente con materiali e tecniche diverse, inclusi acquerelli, inchiostri, colori acrilici, pastelli a olio, carboncino e matite colorate.
Gli ultimi dipinti mostrano una forte influenza del paesaggio di Trinidad nelle campiture di colore saturo ispirate a
Gauguin. La ricerca pittorica di Doig è infatti ininterrotta e la sperimentazione costante. Un semplice cambiamento di punto di vista è sufficiente ad aprire nuove forme compositive: stratagemmi differenti, come rovesciare un’immagine, permette di liberarla dalla sua forma originale e di crearne una nuova. E l’immaginazione dell’artista completa il processo.
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...chissà se un giorno qualche istituzione italiana farà in modo di portare da noi un pittore contemporaneo...e nn sempre le solite menate su arte che onestamente ha anche un pò rotto...sempre gli stessi nomi...sempre le solite cose...nn se ne può più...