La produzione di
Carlo Mollino (Torino, 1905-1973) spazia fra molteplici discipline oltre l’architettura e il design, ed è testimoniata in mostra attraverso un eterogeneo corpus di lavori, che vanno dal primo progetto architettonico del 1933 fino alla morte del piemontese.
Celebre dunque nelle vesti di architetto e designer, Mollino si è anche occupato di moda, teatro, film e fotografia. La sua passione per la velocità lo aveva reso esperto altresì nell’ambito dello sci alpino, fino addirittura a condurlo a scrivere un manuale illustrato di tecnica discesistica. Amava le corse in auto e, a bordo del veicolo da lui stesso progettato, il
Bisiluro, partecipò alla Ventiquattrore di Le Mans, nel 1954. Dalla stilizzazione delle rotte acrobatiche in cui si cimentava, in qualità di pilota di aeroplani da lui in parte disegnati, ricavava le organiche curve secondo le quali modellare le gambe di tavoli e sedute.
La vita di Mollino, sia nel privato che a livello professionale, è stata guidata dalle sue passioni sfrenate, consentendo all’architetto di cimentarsi in ogni disciplina artistica,
con la motivazione necessaria a padroneggiare il mezzo di volta in volta scelto e ad ampliarne le capacitĂ espressive.
Così come nelle sue opere di design ogni connessione è perfettamente studiata nel materiale e nella forma, e disegnata in sezione fino all’ultima vite, in maniera tale che tutti i dettagli costituiscono l’oggetto finale, allo stesso modo l’uso che Mollino fa della fotografia, in particolar modo nel corpus di
Polaroid di figure femminili, comunica livelli più intimi d’un messaggio che va via via componendosi, a formare un complesso sistema di rappresentazione.
Durante la sua vita, Mollino ha scattato oltre 2mila ritratti con la Polaroid, ognuno dei quali perfettamente studiato attraverso la posa della modella, l’abbigliamento e l’ambiente circostante. Il risultato è una composizione enigmatica, a tratti surreale ed erotica. Ciò di cui si è certi è che Mollino non ha mai scattato queste foto con l’intenzione di pubblicarle, essendo prive della firma dell’autore. Si riconoscono in alcune gli interni dell’
Alloggio dello stesso artista, l’appartamento in via Napione 2 a Torino, che Mollino aveva avuto cura di restaurare e arredare.
Al limite tra abitazione reale e paesaggio interiore, la casa non ospita arredi disegnati dall’architetto,
ma si presenta come un contenitore estetico e simbolico di ciò che Mollino amava: dalle maioliche di Vietri negli spazi della cucina, tributo ai colori e alla gioia dello stile di vita mediterraneo, alle gigantografie di alberi sulle pareti della camera da letto.
Quale fosse la destinazione di tale alloggio è stato un enigma a cui Fulvio Ferrari, co-fondatore del Museo Casa Mollino, è riuscito finalmente a dare una risposta. Mollino avrebbe infatti realizzato l’appartamento in previsione della sua vita ultraterrena. L’
Alloggio consisterebbe dunque nella dimora che l’architetto avrebbe abitato
post mortem, così come i faraoni egizi edificavano le piramidi e riempivano le proprie tombe di effetti personali e oggetti della vita quotidiana.
Su una parete della camera da letto, Mollino aveva appeso una collezione di 316 farfalle, citazione – sempre secondo Ferrari – delle 317 concubine ricevute in dono dal faraone Amenophis III, con la funzione propiziatrice di traghettare nel viaggio celeste le donne immortalate nelle polaroid durante la propria esistenza.