In un’epoca in cui il concetto della parola su carta diventa sempre più obsoleto, il V&A Museum sfida lo strapotere del computer e di internet con una mostra ambiziosa, dall’intrigante titolo
Blood on paper: the Art of the Book.
Curata da Rowan Watson, della National Art Library del Museo, e da Elena Ochoa Foster, moglie dell’architetto Sir
Norman Foster e direttrice della Ivory Press, prestigiosa casa editrice che produce solo libri d’artista, la rassegna esamina attraverso sessanta opere, organizzate in quattro sezioni, ciò che accade quando trentotto tra gli artisti più carismatici della nostra epoca -da
Paula Rego a
Damien Hirst, da
Francis Bacon a
Joseph Beuys– rivolgono la propria attenzione al libro.
In tutti i suoi formati, il libro continua a essere un potente mezzo d’espressione. E ciò è particolarmente vero nel caso dei libri d’artista. Affermatosi dopo la Seconda guerra mondiale, il genere del
livre d’artiste nasce in Francia tra la fine del XIX secolo e l’inizio del XX. Diversamente dal comune libro illustrato, in esso illustrazioni, testi e pagine sono create direttamente sul materiale di cui il libro si compone.
Fra i primi a dimostrare che il libro possiede una miriade di altre funzioni oltre alla trasmissione del testo,
Picasso e
Matisse produssero esempi d’incredibile livello creativo, che non a caso trovano spazio nella prima sezione della mostra, dedicata alle icone sacre del XX secolo, unendo
Miró e
Giacometti con artisti come
Rauschenberg e
Sol LeWitt.
A indicare la distanza spazio-temporale coperta dalla mostra, all’ingresso domina un imponente lavoro di
Anselm Kiefer,
The Secret Life of Plants. Kiefer torna nella quarta e ultima sezione, accanto ad
Anthony Caro. Il suo
Open Secret (2004) contiene una raccolta di poemi di Hans Magnus Enzensberger e un passo tratto dal
Mercante di Venezia scritto a mano dall’artista nascosti in compartimenti segreti.
Libri di lusso, spesso di grandi dimensioni, molti dei quali prodotti in edizione limitatissima, se non unica. Libri tagliati, violentati, persino bruciati, anche se (fortunatamente) solo in video, come nel caso di
Cai Guo-Qiang con
Danger Book: Suicide Fireworks, che contiene disegni realizzati in polvere da sparo la cui esplosione, opportunamente video-registrata, è proiettata accanto al libro.
Intellettualmente e visivamente stimolante,
Blood on Paper non è una mostra rilassante. E non intende esserlo. Troppe e troppo provocatorie sono le collaborazioni fra artisti e scrittori che vi trovano spazio (come quella di
Howard Hodgkin con Susan Sontag o di
Louise Bourgeois con Arthur Miller) e le opere che la popolano.
Lo testimonia il lavoro di
Anish Kapoor, che si compone di quattro parti e contiene una scultura formata da una fenditura seghettata, tagliata col laser, attraverso 261 pagine bianche. Il titolo,
Wound (2005), non potrebbe essere più pertinente, rimandando in modo letterale, quasi sacrale, al titolo della mostra. Un riferimento alle ferite aperte nel costato di Cristo, alla sofferenza del corpo e dell’anima del Cristianesimo. Ma anche al sangue come forza rigeneratrice e simbolo di rinascita. E, più semplicemente, un omaggio alla fatica e alla passione che da sempre sono legate all’arte della stampa, dal momento in cui è apparsa all’orizzonte del mondo moderno.