Non ci sarebbe stata collocazione più appropriata della Saint Paul Cathedral per l’ultima installazione di Rebecca Horn, disegnata nel 2003 per un monastero a Mallorca. Questa volta, infatti, Moon Mirror si è impadronita del monumentale ingresso della cattedrale londinese, coinvolgendo nel suo gioco di specchi anche le fastose strutture architettoniche. Un caleidoscopico pozzo in cui ogni cosa s’infrange e ricompone in una nuova forma, moltiplicandosi magicamente nei riflessi. Il pavimento diventa soffitto e viceversa e lo sguardo si perde nella vorticosa sovrapposizione d’immagini. La poesia che ha ispirato la realizzazione dell’opera campeggia a fianco dell’installazione. E’ la storia di una donna caduta dentro a un pozzo oscuro che riesce, grazie a un raggio di luce, a intraprendere l’ascesa al cielo, “ruotando intorno allo specchio della luna”. Un’immagine idilliaca in cui lo spettatore precipita, suo malgrado, inghiottito dalla vertigine di specchi, mentre s’intravede qua e là, fra i dischi riflettenti, lo scintillio della luce lunare incandescente. Il 29 giugno, in occasione dell’opening ufficiale, uno special event ha accompagnato l’intervento nella cattedrale: il compositore neozelandese Hayden Chisholm -già altre volte collaboratore della Horn- ha suonato dal vivo accompagnando le parol
La retrospettiva in corso presso la Hayward prende a prestito il titolo dall’ultima serie di disegni che costituiscono il nucleo centrale dell’esposizione. Bodylandscapes è un’etichetta che potrebbe facilmente applicarsi a tutta la poetica di Horn, rappresentativa di un atteggiamento artistico che, dalle prime performance fino alle più recenti installazioni, ha visto come protagonista il corpo. Il disegno, filo conduttore della mostra, ricuce il percorso che dalle iniziali sculture cinetiche ha condotto agli ultimi lavori, permettendo di attingere alla radice nascosta del lavoro. A fianco del disegno c’è sempre l’opera, pronta a documentarne l’effettività. Il vocabolario simbolico impiegato spazia dai materiali organici a un repertorio di oggetti di varia natura. Uova, piume, ali di farfalla, acqua e sabbia si combinano fra loro in un universo di valigie abbandonate, libri dimenticati, binocoli e strumenti musicali. Tutto si scompone e si ricompone sotto ai nostri occhi, in una visione onirica di straordinario equilibrio e di vibrante espressione evocativa. Ne risultano esperienze contemplative fisiche e mistiche al contempo.
Ciò che sta dietro ad ognuno di questi microcosmi metafisici, rendendoli attivi e funzionanti è, tuttavia, un congegno meccanico. Vere e proprie macchine, ma dalla dimensione umana. Macchine stanche e vulnerabili, che si fermano per riprendere fiato e poi ricominciare a girare. Anche la performance utilizza la scultura cinetica per riprodurre poeticamente l’esperienza del
A conferire un plusvalore all’opera, infine, è la poesia, ben lontana da qualsiasi intento didascalico. Un compendio in parole, piuttosto, atto a rafforzare il lirismo contemplativo dell’arte. Allo stesso tempo, la macchina innesca un processo di rappresentazione sensibile della realtà, una vivida evocazione simbolica di concetti percettivi astratti. Poesia, dunque: estemporanea dicitura che affianca l’opera e fonte di ispirazione. Ma, soprattutto, poesia come limpido linguaggio visivo.
ottavia castellina
mostra visitata il 29 giugno 2005
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