L’idea avuta dal Palais de Tokyo è stata quella di invitare un artista di fama internazionale a concepire un progetto espositivo, ponendolo al centro dell’attività curatoriale dell’istituzione. Dando carta bianca a un artista si ha non solo la possibilità di avere una mappa mentale delle sue influenze, ma anche di conoscere più approfonditamente il suo personale processo creativo e il modo in cui percepisce il lavoro degli artisti a lui contemporanei.
Il primo invitato a occupare, con il proprio personale universo visuale, l’intero spazio espositivo per la durata di tre mesi è lo svizzero
Ugo Rondinone (Brunnen, 1964). Essendo la prima sala dedicata al libro
The Third Mind, nato nel 1965 dalla collaborazione fra lo scrittore cult della beat generation William Burroughs e l’artista
Brion Gysin, il significato del titolo dato all’esposizione è subito chiaro. Colpiti dall’idea del filosofo Napoleon Hill, secondo il quale l’incontro di due menti crea una terza invisibile e intangibile forza, Burroughs e Gysin hanno sviluppato una metodologia per cui, ritagliando e riassemblando frammenti di frasi e immagini, si trovano nel lavoro altrui nuovi e inaspettati significati. In omaggio a questo “cut-up”, Rondinone ha cercato in ogni sorta di media e ha creato un sistema di corrispondenze, fondendo completamente il lavoro di trentuno artisti dagli anni ‘60 a oggi.
Ogni stanza è concepita e percepita come la creazione di una terza persona, una terza mente appunto, che invisibile sta dietro l’esposizione. Una delle stanze in cui sembra che artisti scelti e media utilizzati dialoghino meglio è quella con la video-installazione di
Andy Warhol (
Screen Tests, 1964-1966) e i fotogrammi di
Bruce Conner (
Angels, 1973-75). Questi ultimi, appesi al muro, circondano un gruppo di televisori che, disposti sul pavimento, trasmettono i film di alcuni celebri visitatori della Factory mentre tentano di restare immobili. La sala più grande ospita le monumentali sculture di
Ronald Bladen.
Three Elements (1965) e
The Cathedral Evening (1969) dominano lo spazio, ma soprattutto quest’ultima -con la sua apertura a triangolo- sembra aggredire il visitatore. Rondinone le ha poste in relazione con le figure su alluminio di
Cady Noland (
Oozewald, 1989) e con le inquietanti maschere in cuoio nero di
Nancy Grossmann, esposte in lunghe file su due pareti della sala.
Anche se talora pare che l’accostamento fra le opere esposte nella stessa stanza funzioni meno, si riesce ad apprezzare singolarmente i lavori. È il caso della gigantesca scultura realizzata con il neon da
Martin Boyce,
When Now is Night (web) (1999).
The Third Mind è anche questo: un viaggio attraverso le preferenze, le influenze e spesso le ossessioni di un artista visionario.
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Bella Anto!