Le è piaciuto lo spazio espositivo?
Lo spazio mi è piaciuto molto, è un ferro di cavallo al piano terra, mi sono sentita lusingata perché questo è il più bello del museo, non mi aspettavo che mi avrebbero dato questo bellissimo spazio. E allora adesso
tocca a me.
Ho l’impressione, infatti, che lo spazio l’abbia stimolata molto, se ben ricordo vi sono poche finestre, l’illuminazione è soprattutto artificiale. L’importanza per lei della luce, la ricerca di un’intensificazione dei colori emerge anche qui nella scelta delle trasparenze del plexiglas, del sicofoil, è così?
In questa mostra ho cercato un impatto visivo della luce. I colori sono importanti, infatti in genere ho usato o due colori o quattro, non ho mai usato un’indefinita quantità di colori, nel tentativo di trovare una corrispondenza tra i due che crei una maggiore luce.
Ha abbandonato la tela grezza?
No, qualche opera c’è anche qui, continuo ma in un’altra maniera con l’argento e monocromi.
Vi sono opere a partire dalla metà degli anni ’60 quando sviluppa questo suo interesse per l’architettura, per gli ambienti, lo spazio si prestava maggiormente a questa scelta?
No, a Cortina ho fatto una mostra sugli anni ’80 con la tela grezza, quello era più adatto. Quì ho voluto fare una mostra con le mie cose più libere, meno uniformi a qualcosa di contemporaneo, però ho eliminato il bianco e nero perchè non volevo fare una retrospettiva, non mi piace la retrospettiva, ma una cosa attuale.
Sfogliando le bozze del catalogo noto che sono presenti diverse opere ambientali (Stanza labirinto trasparente n.d.A.)
Si, questa viene da Val montone, è una grande casa labirinto tutta trasparente ci si entra, ci si cammina dentro; per montarla viene un architetto di Torino, ci sono segni grigi e neri, anche “Armadio inutile” è piaciuto molto.
Le confesso che il titolo di quest’altra opera mi ha sempre incuriosito (“Dimenticare, mettersi in salvo” n.d. A.)
Anche a me, all’inizio aveva questo titolo: “La mia vita è simbolo, dimenticare, mettersi in salvo”; perchè ogni tanto do dei versi di poeti a seconda dei periodi che attraverso. Questo è un titolo un pò drammatico. Sembra che io calcolavo quello che pagavo.
Era un momento di crisi?
Però il lavoro era molto buono, è un momento di protagonismo di questo tipo di arte, è stata una rottura. Avevo dipinto i telai. Si, c’era stato un ritorno dopo i sicofoil . Avevo dipinto solamente la cornice che io lavoravo tamponando perchè non volevo usare più il pennello. In quel momento ho fatto un pò un bilancio del costo. Per tutti la vita ha un costo e allora ho voluto mettere questo titolo. “Aethos Prometheos” erano le aste di questo lavoro qui e io l’ho riorganizzato in una specie di svastica primordiale, proprio com’era all’origine, c’erano i colori fondamentali giallo, blu, rosso che poi mescolati diventavano arancio, viola e verde.
Mi viene in mente “Svastica” il lavoro di una giovane artista, Bruna Esposito, presentato all’ex caserma di via Guido Reni nella rassegna Migrazioni. Tra l’altro lei in questo periodo è molto attiva, vedo che fa mostre qui a Roma con giovani artisti, con i quali viene tranquillamente accostata, a differenza magari di altri suoi colleghi. A cosa pensa sia dovuta la sua attualità?
Io aspiro sempre a superarmi, a non attaccarmi a un’ideologia, io non sostengo una tesi con la mia vita, però deve venir fuori. Io sono un artista insomma, e allora se faccio un lavoro, se mi viene un’idea più essenziale, la faccio, punto, mi entusiasma, mi riempie di soddisfazione.
Pensa che la sua ricerca sul segno costituisca ancora un modo valido per parlare per comunicare delle sensazioni?
In questo periodo la pittura è in un periodo di stasi, siccome io sono legata dalla mia biografia alla pittura, allora io cerco di farla nella maniera più distaccata. Intanto ho cominciato così , io non ho mai voluto usare il cavalletto; per anni ho lavorato per terra: Poi questo fatto di usare due colori, per me significava sempre una cosa contro la tradizione, poi anche il sicofoil ha significato questo, poi ho usato sempre dei fondi, prima ho usato il fondo nero con segni bianchi, poi ho usato il sicofoil e poi ho usato in atelier la tela grezza; allora non mi piace la pittura informale: quando dicono questo sbagliano.
Qual’è il suo rapporto con i giovani?
Molto buono, mi piacciono, ma è una cosa personale. Ai giovani vengono le cose migliori. Avevo ventidue anni quando iniziammo Forma.
In Forma 1 la coesione è durata poco; questa difficoltà a stare assieme spiega l’esaurimento attuale del fenomeno dei gruppi?
Credo che c’era questo contenuto dell’avanguardia, un movimento che si doveva fare anche riunendosi, discutendo, ragionando perchè si andava contro qualche cosa di consumistico, per noi è stato così, e noi ritrattavamo un pò quello che c’era stato in Europa prima. Nel momento nostro per esempio c’era un’arte con Mafai e gli altri che già era una reazione all’arte di epoca fascista; per noi però non erano interessanti, assolutamente, non ne capivo il senso.
Oltre ai vari Kandinskji, Klee, Mondrian, Hartung, c’era qualcuno a Roma che vi ha ispirato o che seguivate? Penso a Balla o Pramplini, tra l’altro anche in alcuni titoli vedo dei richiami al Futurismo, ad esempio luce crescente o fragore di lampo.
Come no, Balla è un mito. A me Balla piaceva moltissimo ma non c’è mai stato un contatto diretto; noi una volta abbiamo chiesto un parere a Severini, a Parigi, che ha detto:” ah molto brillant”, però noi abbiamo preso proprio da noi stessi, dalle nostre informazioni, non abbiamo avuto mai nè un critico, nè un maestro.
Non sentivate l’esigenza di un contatto più personale?
A Parigi andavamo a trovare qualcuno, però qui a Roma no, non pensavamo, non ci aspettavamo nulla. Quella è un pò la presunzione dei giovani.
In questo periodo è attivissima , questa mostra parigina è un pò il culmine di un periodo che la vede ritornata protagonista; sempre in questi ultimi anni ha ricevuto grossi riconoscimenti, è stata nominata Accademica di Brera, consigliere alla Biennale di Venezia nel ’97, quindi si è trovata un pò dall’altra parte.
Ho ricevuto la nomina dal presidente della repubblica come Cavaliere, infatti Achille (Bonito Oliva n.d.r.) quando mi incontra, mi fa: “ciao cavaliere”, mannaggia se non la smette! Però io queste varie cose che ho le rifiuto, non mi piacciono.
La mia curiosità era questa: all’interno dell’istituzione, come ad esempio la Biennale di Venezia, che percezione lei aveva avuto?
Quella cosa che ho fatto era con Germano Celant, perché mi
Che rapporto aveva visto tra i giovani e l’istituzione all’epoca, c’è qualche episodio che le viene in mente, ad esempio il modo di selezionare, la macchina funzionava bene?
Ma la Biennale ha funzionato sempre bene, quest’anno non sono andata è stata la prima volta, certo la Biennale deve stare attenta a non diventare una cosa superata, immobile; oggi i giovani usano tutti i mezzi che vogliono; moltissimo i video, però questa è un’epoca di video come quella degli anni ’50-60 è stata l’epoca dell’informale, poi se ne perdono tanti per strada.
Di chi è stata l’ideazione della mostra qui a Parigi?
In molti si sono messi d’impegno; l’idea è partita da Mario Pieroni, Hans Ulrich Obrist, che ne è anche il curatore e Bertrand Lavier, col quale eravamo qui a cena una sera e ha detto: “dobbiamo far fare una mostra a Carla a Parigi, assolutamente”, e così due anni fa è partito questo movimento che è arrivato fino a Suzanne Paget, la direttrice del museo, sono stati più i francesi che gli italiani.
E’ un bel ritorno, ha lasciato un bel ricordo a Parigi, è contenta?
Beh io non credo, l’ho ripreso perchè son passati tanti anni. Sono andata così giovane quando non avevo ancora fatto cose in Italia.
Ha qualche ricordo particolare di quel periodo, di Michel Tapiè?
Lui era affascinante; feci un contratto alla galleria Stadler con lui, dove feci una personale insieme a uno scultore, e esposi nuovamente dopo dieci anni in seguito alla biennale del ’64. Giravo molto per la rue de Seine, per noi era la vita. Ricordo che ho fatto una mostra a Parigi con dei quadri, precedenti a quelli bianco e neri, e allora Sperone ha detto: “se li sono comprati tutti i torinesi” e poi ha aggiunto, “ehi ma la Accardi li ha fatti prima di Twombly questi segni”, io ero lusingatissima”.
All’epoca aveva una passione per Matisse? L’ha cercato, era intenzionata a trovarlo?
Si, adesso è una cosa che ho un pò storicizzato, la racconto. Purtroppo si soffre un pò quando passano dei grandi amori. Raggiungerlo era troppo difficile perché lui non stava a Parigi, era ammalato, dipingeva stando a letto con un pennello lungo lungo. Però io ero
C’è un rapporto con i suoi contemporanei: Consagra, Mauri, Vedova, Merz?
Più che altro Vedova, no, Merz no. Io sono stata a Torino, perchè Roma non mi stava più tanto bene, e allora a Torino. Con Luciano Pistoi. Mi ricordo che c’è stato chi ha detto :”Carla Accardi ha avuto una sua influenza a Torino; cosa che mi ha molto lusingato”. Infatti c’è una ragazza che ha fatto una tesi su questo contenuto. Si perchè, per esempio, io avevo fatto la prima tenda in anticipo e sono stata difesa perchè l’avevo fatta prima di tutti, come ambiente; allora prima avevo questa amicizia con Merz, con Schwarz, anche con Vedova.
A fianco del Musée d’Art Modern de la Ville de Paris adesso, a gennaio, si apre il Palais de Tokyo, questo è stimolante. Penso che gli allievi avranno modo di conoscerla e chissà che non influenzi anche loro.
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Emanuele Ceccato
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dite quello che vi pare ma la Accardi rimane una grande aarttista
meravigliosamente perfetta. Intervista di livello storico! Bravi ancora.
W le "CARLA" di Italia!