“Per una volta voglio essere io stesso a scegliere l’origine del mio dolore”; oppure: “Solo lacerando la pelle raggiungo la stessa intensità dei giochi erotici”; e ancora: “Del dolore, non restano che le vestigia”. Queste e altre sono le didascalie che accompagnano il ciclo fotografico di ritratti in bianco e nero di Alain Soldeville consacrato ai tatuaggi, alle scarificazioni, ai piercing, alle mutilazioni, al branding e a ogni sorta di innesti corporali. Nelle sale attigue, a queste pratiche contemporanee si affiancano quelle antichissime proprie delle società cosiddette tradizionali. Quello che viene presentato attraverso sculture, maschere e oggetti votivi, è un viaggio dall’Africa all’Asia, dal Sud America alle isole dell’Oceania.
Tuttavia questo confronto tra culture permette di rilevare la loro distanza insanabile, nonché l’ambiguità del recente recupero del “tribale”. Nel primo caso, i tatuaggi che accentuano la sinuosità del corpo, gli ornamenti –dipinti o incisi indelebilmente- su naso, orecchie, labbra, fino alle deformazioni del collo o del cranio, non sono altro che delle marche. Queste segnano precisi riti di passaggio: la nascita, la pubertà, il
Al contrario, con i rituali iniziatici contemporanei il corpo viene mutilato e mutato alla ricerca e all’invenzione esasperata della propria individualità: il dolore provato nel lavorare il corpo, nel lacerare la pelle, nell’infliggersi delle stigmate si trasfigura in una rinascita del proprio sé. Tra il dolore e il piacere, tra la sofferenza e l’estasi, estremi di quella che Bataille ha chiamato “esperienza interiore”. Se questo rinascere a sé stessi rifugge da ogni forma di codificazione, come era il caso delle società tradizionali, la pelle diventa allora un testo leggibile e aperto ad ogni definizione. Di conseguenza fra questi due mondi le somiglianze sono, è il caso di dirlo, solo epidermiche e la mostra non ci aiuta purtroppo a comprendere fino in fondo questo passaggio. Si sente insomma la mancanza di quelle figure di transizione che hanno saputo mediare le pratiche delle società tradizionali con quelle più contemporanee, ibride e decontestualizzate. Chi si ricorda, ad esempio, di una figura mitica come quella di Fakir Musafar?
riccardo venturi
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