Categorie: around

fino al 3.IX.2006 | Peter Friedl | Barcellona, MACBA

di - 14 Giugno 2006

È conosciuto come artista poliedrico, Peter Friedl (Oberneukirchen, Austria, 1960). O forse dovremmo dire proteiforme, aggettivo che rende meglio l’idea di come si possa conservare la stessa identità pur mutando così spesso d’aspetto. Tecniche differenti, differenti stili. Compito della retrospettiva è cercare quel nucleo immutabile, quel legame sottile -nel senso di arguto- che lega saldamente un progetto all’altro. E cioè l’esigenza di ricomporre l’identità del singolo, e di restituire la misura dei rapporti tra individuo e comunità, che l’intellettuale avverte quando la società rischia la desertificazione. Con Friedl l’autobiografismo apre alla biografia politica, ed entrambi si concedono ad un discorso globale: in Theory of justice (1992 – 2006), se il collage di ritagli di giornale funziona da input estetico, più rilevante è la scomposizione cronologica delle immagini, a favore di un montaggio per accostamento critico. Perché è stato innanzitutto il Potere ad avere abbandonato il terreno del consenso, per giocare su quello del contrasto. E poiché ancora non è possibile appianare le incongruenze, Friedl punta a rendere ancora più stridente questa opposizione.
In King Kong (2001) il cantautore Daniel Johnston recita una nenia in un parco di Johannesburg, mentre sullo sfondo ancora è visibile il marchio dell’apartheid. Nel suo sguardo basso, nella sua voce insistentemente monocorde, in quella sua chiusura si apre il paesaggio che lo circonda. E nel cuneo che la distanza crea, si richiede che lo spettatore aggiunga anche il suo, di sguardo, a gettare sale sulla ferita. Già, a ben vedere l’ampliamento e il rimodellamento del concetto di comunità è un fatto assodato in Friedl, che utilizza ad esempio le diapositive della serie Playgrounds (1995 – 2006) per mostrare gli spazi di svago come residuati delle utopie di una città ideale che il secolo passato ci ha lasciato in eredità.

Spazi fisici e mentali si intrecciano: utopia e fantasia agiscono congiuntamente, e creano il mito (feticista?) della parola-emblema. Se in Straßenverkehrsordnung (Nuovo codice di circolazione, 2000), la parola stessa esige un confronto con la sua materialità -tradotta nelle forme, dimensioni, e colori dei tubi al neon-, nel video Untouched (1995-97) la frase Nobody knows science, stampata su una serie di palloncini colorati, diviene invece una presenza fisica più malleabile, gestibile, persino eliminabile. Tutto sommato allora, al confrontarsi con tanta eterogeneità, il rischio di una retrospettiva poteva essere quello di mettere sul plateau un trovarobato raffinatamente allestito. Cose che capitano.
Fortunatamente al Macba non si incorre in tale pericolo, e la prospettiva critica è garantita e rafforzata dalla scelta di presentare la serie Drawings (1964 – 2005), una raccolta di disegni su carta a tecniche differenti, in cui le tematiche che l’artista austriaco ha affrontato sono ben identificabili nella loro genesi e nella loro crescita. I disegni sono allora bozzetti, matrici, prototipi a cui ricondurre un percorso che appare più nitido nella definizione delle tappe che hanno determinato il suo dispiegarsi, e che al contempo lascia aperte molte interpretazioni in termini di sviluppo futuro. Una possibilità da non sprecare. Perché una retrospettiva non guarda necessariamente solo al passato…

davide carnevali
mostra visitata il 7 giugno 2006


Peter Friedl: works 1964 – 2006
MACBA – Museu d’Art Contemporani de Barcelona , Plaça dels Àngels, 1 – 08001 Barcelona, España – Tel +34 93 412 08 10 – Fax +34 93 412 46 02 – exposicions@macba.eswww.macba.es
dal 26 maggio al 3 settembre 2006
da lunedì a venerdì dalle 11 alle 20 h. luglio e agosto orario speciale giovedì dalle 11 alle 24 h. – sabato dalle 10 alle 20 h. domenica e festivi dalle 10 alle 15 h. chiuso martedì non festivi – il servizio di biglietteria si interrompe 30 minuti prima della chiusura – entrata: 4 € – ridotto: 3 €


[exibart]

Visualizza commenti

  • Ma al Macba è possibile che facciano solo mostre politically correct di pseudo istallazioni toeoricamente concettuali... ma che alla fine sono solo dei giochetti per fighetti senza speranza?
    Possibile che una istituzione simile sia così a corto di idee?
    Ed è possibile che abbia una collezione ferma agli anni '60? Che non compra più nulla (carenza di fondi... dicono!)d'arte contemporanea e che abbia comprato a non so quale svendita tra i peggiori pezzi di Saura, Fontana ed altri?
    Ed è possibile che non si vede una mostra... non dico di pittura... potrebbe essere troppo forte! ma che ne so, di qualcosa che abbia la forza di generare domande nello spettatore al posto che obbligarlo a riflettere quando c'è ben poco da pensare?
    Possibile che il suo direttore sia ancora lì a pensare agli anni '60, alla contestazione, alla rivoluzione sociale, al concettual-filosofico (noiso o aburrido come dicono gli spagnoli)... in pòoche parole al "vecchio" e non si accorga che siamo nel 2006?
    Che vada a prendere lezioni NY!!!!!
    Mostra orrenda!!
    Visitatela solo per capire come siamo messi male!!!
    W il Macro, w il maxxi, W trento e rovereto, w il Gam di Bologna

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