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Per quanto le intenzioni siano
pregevoli, GKS Contemporary Aware – Art
Fashion Identity raggiunge
risultati incerti e non sempre all’altezza degli artisti in mostra. Gli spazi
neoclassici di Burlington Gardens non offrono infatti una flessibilità tale da
permettere l’articolazione di un percorso espositivo modulare, come vorrebbero
invece i suoi organizzatori. Le sezioni: Storytelling, Building, Belonging and Confronting e Performing
risultano quasi giustapposte, in un calderone di stanzoni dove lo sguardo
si perde e difficilmente si indirizza.
pregevoli, GKS Contemporary Aware – Art
Fashion Identity raggiunge
risultati incerti e non sempre all’altezza degli artisti in mostra. Gli spazi
neoclassici di Burlington Gardens non offrono infatti una flessibilità tale da
permettere l’articolazione di un percorso espositivo modulare, come vorrebbero
invece i suoi organizzatori. Le sezioni: Storytelling, Building, Belonging and Confronting e Performing
risultano quasi giustapposte, in un calderone di stanzoni dove lo sguardo
si perde e difficilmente si indirizza.
Detto ciò, l’ottimo catalogo con
testi di Gabi Scardi, Joanne Entwistle e Lucy Orta e la raccolta di lavori densamente significativi bilanciano una
certa confusione di fondo ed evidenziano il grande pregio dell’evento: evitare
una carrellata di virtuosismi glamour da alta sartoria.
testi di Gabi Scardi, Joanne Entwistle e Lucy Orta e la raccolta di lavori densamente significativi bilanciano una
certa confusione di fondo ed evidenziano il grande pregio dell’evento: evitare
una carrellata di virtuosismi glamour da alta sartoria.
La relazione tra identità e
apparenza prende vie traverse, in particolare in riferimento alla definizione
di femminilità, sinistra e restrittiva, come mostra impietosa la regina di
spilli di Susie MacMurray, Widow (2009). Cindy Sherman si lascia vestire in Doll Clothes (1975) per alternare una fittizia consapevolezza d’essere
alla più misera anonimità massificata del nudo, mentre Yoko Ono parte dall’opposto presupposto di emancipazione “per via
di levare” in Cut Piece (1964), dove
proprio svestire scardina le regole prime della società.
apparenza prende vie traverse, in particolare in riferimento alla definizione
di femminilità, sinistra e restrittiva, come mostra impietosa la regina di
spilli di Susie MacMurray, Widow (2009). Cindy Sherman si lascia vestire in Doll Clothes (1975) per alternare una fittizia consapevolezza d’essere
alla più misera anonimità massificata del nudo, mentre Yoko Ono parte dall’opposto presupposto di emancipazione “per via
di levare” in Cut Piece (1964), dove
proprio svestire scardina le regole prime della società.
Parte della mostra propone un’altalena
fra coprire e scoprire: Marina
Abravomic irrigidisce i passanti in Imponderabilia
(1977), ma Vito Acconci li
protegge e culla sotto Umbruffla (2005-2010);
l’abito politicamente connotato è il perno di una seconda porzione di lavori,
non tutti graffianti, tra cui spicca lo Chic
Point (2003) di Sharif Waked, già
in mostra al Macro nel 2004. Film
intelligentissimo che ritrae una passerella di perquisibili palestinesi
compassati nel dar vita a creazioni facilitatrici di puntigliose ispezioni.
fra coprire e scoprire: Marina
Abravomic irrigidisce i passanti in Imponderabilia
(1977), ma Vito Acconci li
protegge e culla sotto Umbruffla (2005-2010);
l’abito politicamente connotato è il perno di una seconda porzione di lavori,
non tutti graffianti, tra cui spicca lo Chic
Point (2003) di Sharif Waked, già
in mostra al Macro nel 2004. Film
intelligentissimo che ritrae una passerella di perquisibili palestinesi
compassati nel dar vita a creazioni facilitatrici di puntigliose ispezioni.
Belli inoltre e colti Triptych, The Butcher’s Window (2003) di
Dan Rees, Joan (1998) di Alexander
McQueen e ‘Son’ of Sonzai Suru (2010)
di Hussein Chalayan, sebbene gli
ultimi due appaiano mutilati dall’assenza di vere indossatrici, poco potendo
fare i manichini per animare abiti bisognosi di animazione.
Dan Rees, Joan (1998) di Alexander
McQueen e ‘Son’ of Sonzai Suru (2010)
di Hussein Chalayan, sebbene gli
ultimi due appaiano mutilati dall’assenza di vere indossatrici, poco potendo
fare i manichini per animare abiti bisognosi di animazione.
Presenti infine lavori di
gioiosa apertura a una visione olistica del vestire inteso come dimensione
della mutevolezza biologica della persona: avventurose sono le giacche che Antonio Marras ha ricavato dal Balena Project (2008) di Claudia Losi e biodegradabile il bell’abito
Say Goodbye (2010) di Helen Storey; mentre un bosco di fate
naturistiche accompagna la vita femminile di Andrea Zittel, A-Z Fibre form
Uniform: Winter 2005 (2005) e apre a una visione di estetica pacificatrice
che esalta, non costringe, la natura delle cose.
silvia colaiacomo
mostra visitata il 6 dicembre
2010
dal
2 dicembre 2010 al 30 gennaio 2011
GSK Contemporary 2010 – Aware:
Art Fashion Identity
a cura di Gabi Scardi
Royal Academy of Arts –
Burlington House
Piccadilly – W1J 0BD London
Orario: da sabato a giovedì ore 10-18 (ultimo ingresso ore 17.30); venerdì ore
10-22 (ultimo ingresso ore 21.30)
Ingresso: intero £ 9; ridotto £ 8/7
Catalogo Damiani Editore
Info: tel. +44 02073008000; www.royalacademy.org.uk
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