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07
marzo 2008
fino al 30.III.2008 Eija-Lisa Ahtila Paris, Jeu de Paume
around
Visioni e memorie dell’intimo. Lo statuto fragile dell’identità nelle sue multiple decostruzioni e ricostruzioni. Una retrospettiva, fra video e cinema di sperimentazione, dell’artista finlandese...
La morte è presenza sottile, invisibile quanto pervasiva nell’universo visivo della videoartista finlandese Eija-Liisa Ahtila (Hameenlinna, 1959; vive a Helsinki); non cessa di ripresentarsi attraverso infinite metafore, tessendo un filo impercettibile quanto sotterraneo tra le sue principali videoinstallazioni.
“Drammi umani”, come Ahtila li definisce, i suoi video si situano all’incontro fra il reportage documentario, la fiction e l’inserzione del fantastico. Interrogano l’inconscio, il sogno ma anche le relazioni imperfette tra gli individui. Parlano di rotture intime, di disordine esistenziale, d’incidenti che aprono crepe sulla superficie delle loro esistenze quotidiane, rovesciandone ogni possibilità di rappresentazione realista.
Nell’ultimo lavoro, Where is where, un adolescente algerino -complice della morte di un compagno di scuola francese- fissa di fronte a sé la cinepresa: “La morte è sempre qualcosa di intimo? Quando si è morti dove si è, dov’è esattamente?”. All’inizio del film, la morte come presenza penetra nella casa della donna: confrontarsi con la sua esperienza-limite significa rimettere in questione l’esistenza come tale nell’evento di una rottura irreversibile, che è anche rottura del linguaggio, delle regole dell’organizzazione quotidiana, della stabilità di una costruzione identitaria. Tale evento, secondo Ahtila, “supera l’epoca e il momento presenti dando accesso al non- essere” della morte: l’atemporalità di un’istante dove passato e futuro si ritrovano.
Il video resta il solo mezzo per convocarlo nel non-luogo dell’immagine: renderlo presente, farlo sorgere come visione, restituirgli, infine, “l’accesso alla parola” attraverso la voce del Poeta. Come il narratore fuori campo afferma: “Nella stanza spiriti si muovono, hanno una parola in comune. In questa parola tutto si ritrova: lo stesso giorno, lo stesso calore, lo stesso villaggio, la stessa famiglia, lo stesso paesaggio”.
Al centro del film, il tema del colonialismo, il conflitto fra la cultura araba e quella occidentale, contestualizzato nella prospettiva storica della guerra franco-algerina. Il punto di vista documentarista o storico -il massacro algerino e l’omicidio del giovane francese da parte di due compagni arabi riportato da Frantz Fanon- si confonde con la visione onirica della morte personificata dalla figura in nero apparsa di fronte alla poetessa. L’installazione restituisce anche da un punto di vista formale l’evento della rottura che il contenuto dell’immagine solamente non riuscirebbe a rendere. Mentre il montaggio infrange la linearità narrativa del racconto, la proiezione video è pensata su schermi giustapposti, dove le immagini si alternano o si sovrappongono in punti di vista simultanei.
Lo spazio vuoto aperto tra gli schermi implica un processo di ricomposizione soggettiva, personale o semplicemente aleatoria dei frammenti visivi percepiti in maniera più meno volontaria dallo spettatore. Le voci “fuori campo” dei dialoghi restano volutamente distanziate rispetto alle figure, quasi si proiettassero attraverso i corpi senza cedere alla tentazione di ogni identificazione emozionale. La narrazione si situa fuori dal mimetismo rappresentativo, mostrandoci una realtà altra: il reale come riflesso distorto, specchio intimo e deformante del quotidiano. Che è, anche, spettro, fantasma, immagine come “imago”: calco mortuario della rappresentazione in sé.
“Drammi umani”, come Ahtila li definisce, i suoi video si situano all’incontro fra il reportage documentario, la fiction e l’inserzione del fantastico. Interrogano l’inconscio, il sogno ma anche le relazioni imperfette tra gli individui. Parlano di rotture intime, di disordine esistenziale, d’incidenti che aprono crepe sulla superficie delle loro esistenze quotidiane, rovesciandone ogni possibilità di rappresentazione realista.
Nell’ultimo lavoro, Where is where, un adolescente algerino -complice della morte di un compagno di scuola francese- fissa di fronte a sé la cinepresa: “La morte è sempre qualcosa di intimo? Quando si è morti dove si è, dov’è esattamente?”. All’inizio del film, la morte come presenza penetra nella casa della donna: confrontarsi con la sua esperienza-limite significa rimettere in questione l’esistenza come tale nell’evento di una rottura irreversibile, che è anche rottura del linguaggio, delle regole dell’organizzazione quotidiana, della stabilità di una costruzione identitaria. Tale evento, secondo Ahtila, “supera l’epoca e il momento presenti dando accesso al non- essere” della morte: l’atemporalità di un’istante dove passato e futuro si ritrovano.
Il video resta il solo mezzo per convocarlo nel non-luogo dell’immagine: renderlo presente, farlo sorgere come visione, restituirgli, infine, “l’accesso alla parola” attraverso la voce del Poeta. Come il narratore fuori campo afferma: “Nella stanza spiriti si muovono, hanno una parola in comune. In questa parola tutto si ritrova: lo stesso giorno, lo stesso calore, lo stesso villaggio, la stessa famiglia, lo stesso paesaggio”.
Al centro del film, il tema del colonialismo, il conflitto fra la cultura araba e quella occidentale, contestualizzato nella prospettiva storica della guerra franco-algerina. Il punto di vista documentarista o storico -il massacro algerino e l’omicidio del giovane francese da parte di due compagni arabi riportato da Frantz Fanon- si confonde con la visione onirica della morte personificata dalla figura in nero apparsa di fronte alla poetessa. L’installazione restituisce anche da un punto di vista formale l’evento della rottura che il contenuto dell’immagine solamente non riuscirebbe a rendere. Mentre il montaggio infrange la linearità narrativa del racconto, la proiezione video è pensata su schermi giustapposti, dove le immagini si alternano o si sovrappongono in punti di vista simultanei.
Lo spazio vuoto aperto tra gli schermi implica un processo di ricomposizione soggettiva, personale o semplicemente aleatoria dei frammenti visivi percepiti in maniera più meno volontaria dallo spettatore. Le voci “fuori campo” dei dialoghi restano volutamente distanziate rispetto alle figure, quasi si proiettassero attraverso i corpi senza cedere alla tentazione di ogni identificazione emozionale. La narrazione si situa fuori dal mimetismo rappresentativo, mostrandoci una realtà altra: il reale come riflesso distorto, specchio intimo e deformante del quotidiano. Che è, anche, spettro, fantasma, immagine come “imago”: calco mortuario della rappresentazione in sé.
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Jeu de Paume – Concorde
1, Place de la Concorde – 75008 Paris
Orario: da mercoledì a venerdì ore 12-19; martedì ore 12-21; sabato e domenica ore 10-19
Ingresso: intero € 6; ridotto € 3
Catalogo Jeu de Paume/Hazan, € 35
Info: tel. +33 01470312501; www.jeudepaume.org
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