Il videoclip di
Tonight, tonight (1995) degli Smashing Pumpkins è probabilmente l’omaggio di più larga presa dedicato alla sua opera cinematografica. Ma chi non custodisce nel proprio immaginario almeno un frammento di uno dei 520 film girati dal maggior concorrente dei fratelli
Lumières? In occasione del 70esimo anniversario della scomparsa di
Georges Méliès (Parigi, 1861-1938), la Cinémathèque Française lo celebra con una mostra, coordinata da Serge Toubiana e Costantin Costa-Gavras, che ne ricrea alla perfezione il percorso umano e la fantasia dirompente. “
Un prestidigitatore che mise il cinematografo nel suo cappello, per tirarne fuori il cinema”, diceva di lui Edgar Morin.
Nato da una famiglia di commercianti, rifiuta il dettato paterno e si rifugia nel 1880 a Londra per consacrarsi all’illusionismo. Nel 1888 rientra a Parigi e acquista il teatro Robert-Houdin, dove dà sfogo alla sua magica frenesia con spettacoli accuratamente ricostruiti all’interno della mostra, grazie al recente acquisto da parte della Cinémathèque Française di un’impressionante collezione di cimeli raccolti da una delle nipoti del regista.
Ma nel 1895, dopo aver assistito alla prima rappresentazione del cinematografo Lumière, intravede le potenzialità di un innesto nel cinema dei trucchi di magia. Lo spettacolo ha allora inizio.
Attraverso la sovrimpressione di più pellicole riesce, in
Un homme de têtes, a decapitarsi a più riprese, appoggiando ogni volta il nuovo capo su alcuni tavoli, fino a ritrovarsi con più teste che lo accompagnano cantando mentre suona il banjo. Ma Méliès traspone nelle sue riprese soprattutto il proprio talento di scenografo e, per assecondarlo, fa costruire a Montreuil uno studio vetrato. Distrutto nel 1947 mentre gli occhi esterrefatti di Henri Langlois, fondatore della Cinémathèque, cercavano di immortalarne in fotografia il ricordo, allo studio è dedicato largo spazio in mostra. Un plastico, le fotografie dello stesso Langlois e alcuni disegni permettono di capire come si svolgevano le riprese e svelano l’accuratezza e le numerose sfaccettature del lavoro di Méliès.
Se la genialità di alcuni suoi scenari è più figlia di un’epoca in preda a deliri positivistici –
Voyage dans la Lune (1902) riprende l’opera di Jules Verne -, si rimane comunque spiazzati di fronte all’attualità di una foto di scena del
Tunnel sous la Manche ou le cauchemar Anglo-Français (1907).
À la conquête du Pôle (1911) restituisce invece una versione comica e fiabesca delle contemporanee imprese di Roald Amundsen.
L’avventura umana di Méliès naufraga dopo la prima guerra mondiale. Un’Europa ferita nell’animo non si appassiona più con lo stesso fervore per i suoi film. Il cineasta è presto preda dei creditori, vende il suo studio di Montreuil e si rifugia alla stazione di Montparnasse, dove apre un negozio di giocattoli pochi anni prima di morire.
Ma il suo universo fantastico è presto riabilitato: i surrealisti, Langlois e altri si appassionano alla sua opera e ne iniziano una lenta ricostruzione. È grazie a questo lavoro che, a settant’anni dalla sua scomparsa, la Cinémathèque Française celebra il talento poliedrico di questo demiurgo della settima arte.